Dall’inizio dell’anno nelle carceri italiane ci sono stati 44 suicidi, che hanno coinvolto 42 uomini e due donne: in tutto, secondo i dati diffusi dal garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, le persone detenute che hanno scelto di togliersi la vita sono dieci in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. L’ultimo tentato suicidio è avvenuto nell’istituto di pena sassarese di Brancali, dove un uomo si è dato fuoco ed è stato soccorso dal personale penitenziario. Soltanto pochi giorni fa, nello stesso carcere e soltanto a poche celle di distanza, un detenuto era riuscito a farla finita.

DELLE 44 VITTIME del 2024 venti erano cittadini stranieri. In diciotto «erano stati giudicati in via definitiva e condannati, mentre cinque avevano una posizione cosiddetta mista con definitivo, cioè avevano almeno una condanna definitiva e altri procedimenti penali in corso; diciassette (il 39,5%) erano in attesa di primo giudizio, due i ricorrenti, un appellante e uno in internamento provvisorio». La maggior parte di quelli che si sono tolti la vita in carcere era accusata o era stata condannata per reati contro la persona (24, il 55%). A dieci di loro era contestato l’omicidio (tentato o consumato), a sei il maltrattamento in famiglia e quattro la violenza sessuale.

L’EMERGENZA SUICIDI si sovrappone a quella del sovraffollamento. Secondo gli ultimi dati, aggiornati al 12 giugno scorso, attualmente i detenuti nelle carceri italiane sono 61.468, circa quindicimila in più rispetto alle possibilità reali. «I posti regolarmente disponibili ammontano a 47067 rispetto alla capienza regolamentare di 51221 – spiega sempre il garante – Da un ulteriore approfondimento è sorto che tale criticità è dovuta all’attuale inagibilità di diverse camere di pernottamento e in alcuni casi di intere sezioni detentive (come per esempio la casa circondariale di Milano San Vittore, ove l’indice di sovraffollamento si attesta al 230,79% ed è l’istituto che sui 190 detiene il primato). A livello nazionale la criticità sovraesposta determina un indice di sovraffollamento del 130,59%».

SUL TEMA è intervenuto Carlo Nordio, ieri ospite di un festival letterario a Taormina. Il ministro della giustizia afferma che «il sovraffollamento è il risultato di una sedimentazione pluridecennale», dunque il problema «non è di soluzione immediata». Nordio esclude che l’indulto sia una soluzione possibile visto che, a suo dire, rappresenterebbe «una resa dello Stato».

DUNQUE, CHE FARE?
Il ministro a questo punto si è prodotto in una delle sue dissertazioni un po’ psichedeliche, totalmente divergenti dai fatti concreti e dalle scelte avvenute da quando siede a largo Arenula: ha sostenuto che bisogna investire sulle pene alternative. La stessa promessa, peraltro, l’aveva fatta a ottobre del 2022, intercettato dai cronisti mentre andava a giurare da guardasigilli. All’epoca accadde che pochi giorni dopo, Meloni lo smentì clamorosamente e annunciò in pompa magna il giro di vite contro i rave party e nuovo lavoro per i questurini, alla faccia della «depenalizzazione».

ANCHE QUESTA VOLTA la scelta dei tempi rende le dichiarazioni di Nordio particolarmente grottesche: parla di pene alternative nei giorni in cui la sua maggioranza sta per approvare l’ennesimo inasprimento delle pene e l’ennesima aggiunta al codice di nuove fattispecie di reato negli articoli del ddl sicurezza che martedì prossimo tornerà in commissione giustizia a Montecitorio. «C’è bisogno di forme di espiazione della pena in comunità – afferma Nordio – I tossicodipendenti sono degli ammalati più che dei criminali» (quest’altra esternazione arriva mentre la destra sta per rendere illegale persino la cannabis light). «Inoltre – ha proseguito Nordio snocciolando i suoi propositi a volo cieco – visto che gli stranieri rappresentano la metà dei detenuti sarebbe opportuno far scontare la pena nei loro paesi di origine, già avremmo risolto gran parte di questo problema».