Con un governo di destra stiamo assistendo, paradossalmente, ad un fenomeno politico che riguarda prima di tutto la sinistra, quella che una volta si chiamava di governo e in particolare tutti coloro (deputati, presidenti, assessori, funzionari, tecnici, esperti) che fino a prima di Meloni, soprattutto nel Pd, hanno avuto una qualche responsabilità in sanità. Autori di politiche fallimentari, oggi sotto gli occhi di tutti, purtroppo autori non pentiti, dai quali ci si aspetterebbe non dico autocritica ma almeno un po’ di resipiscenza.

Tutti quelli che in qualche modo hanno rovinato la nostra sanità pubblica oggi non si pentono proprio di niente, neanche di aver privatizzato la sanità, neanche di averla condannata alla diseguaglianza. Niente di niente.
Due sono gli esempi notevoli di questa specie di “apologia di reato”, il primo è un appello: “La sanità pubblica è sotto attacco. Difendiamola” firmato dal Movimento per la Sanità Pubblica, nel quale praticamente si propone di riverniciare la casa neoliberale della sanità modello Pd. Cioè si propongono alcuni aggiustamenti marginali di quello che c’è, ma a contraddizioni economiche, sociali e organizzative invarianti. Di fatto una riconferma delle contro riforme degli anni ’90, in primo luogo quella che lo stesso appello denuncia come un pericolo, vale a dire l’universalismo selettivo del quale alcuni autorevoli firmatari dell’appello sono stati i primi sostenitori.

In fin dei conti l’appello chiede al governo semplicemente di rifinanziare il vecchio progetto neoliberale del Pd.
Non sorprende infatti di non trovarvi traccia di una parola critica su questa buffonata del Pnrr, al punto da rendere legittimo il sospetto che i suoi ispiratori siano gli stessi che lo hanno scritto ai tempi dell’ex ministro Speranza .

Il secondo esempio lo offre Gimbe, autorevole fondazione di diritto privato che tutti conoscono. Da una parte si lamenta che in sanità tutto si riduce a contingenza per poi proporre un piano che più in là della contingenza non riesce ad andare perché tutte le contraddizioni che ci hanno portato al capolinea anche da Gimbe non vengono toccate. Ma allora che senso ha proporre un piano se si rifiuta di riformare tutto quanto ci ha messo in crisi?
Tra appelli e piani per salvare la sanità non mancano le proposte di rivoluzione copernicana, ma suonano fasulle perché hanno in comune l’obiettivo di mantenere invariate le grandi contraddizioni che stanno demolendo la sanità, accreditando l’idea che queste contraddizioni, anziché rimuoverle come ci insegnano Gramsci e Marx, sia possibile addirittura disciplinarle.

Ma come è possibile disciplinare la contraddizione tra diritto fondamentale e diritto potestativo? O quella tra sgravi fiscali al privato e tagli lineari al servizio pubblico? Quindi la grande marchetta? Come si fa a disciplinare la contraddizione che esiste tra il fare salute per mezzo della prevenzione pubblica e la privatizzazione della sanità concepita per fare profitto? Come si fa a tenere insieme uno Stato che non ha nessun interesse alla salute pubblica perché il suo unico interesse è appaltare la cura al privato?

Personalmente penso che per salvare la sanità pubblica oggi ci vorrebbe un movimento popolare convocato su una idea di riforma, quindi convocato da una sinistra credibile, con le idee chiare. Ma come si fa a chiamare il popolo in piazza proponendogli le bufale del passato, gli appelli farlocchi , i piani senza strategie e le finte rivoluzioni?