Ottant’anni fa, il 17 luglio 1936, nei territori dell’Africa occupata, il generale Francisco Franco con i suoi legionari del Tercio e los Regulares, mercenari indigeni del protettorato spagnolo del Marocco, si solleva in armi contro il governo della Repubblica. Pochi giorni dopo attraversa lo stretto di Gibilterra alla guida di un esercito di ribelli in marcia verso Madrid. Quello che a prima vista sarebbe dovuto essere un golpe militare lampo si trasformerà in una cruenta guerra civile che in poco meno di tre anni causerà 450 mila morti, 150 mila esiliati e 50 mila fucilati nei quasi quattro decenni successivi.

Galvanizzato dal consolidamento di Mussolini, dall’ascesa di Hitler, dal «posto al sole» sui lidi abissini ottenuti a colpi di cannonate e iprite italiani, il generale Franco si proclamava caudillo di una Spagna cattolica intenzionata a risorgere grazie a un’originale «crociata» condotta, suo malgrado, da truppe more, marocchine e musulmane. Suo obiettivo quello di mettere fine alla Seconda Repubblica, considerata «inaccettabile» nella cattolica monarchia spagnola, responsabile della conquista d’America, della vittoria di Lepanto e della Santa Inquisizione.

Ad eccezione infatti dell’effimera Prima Repubblica del 1873, la Spagna non vantava certo una tradizione liberale. Dal 14 aprile 1931, con l’abdicazione di Alfonso XIII, il paese stava vivendo una grande instabilità politica. Una stagione che, benché inaugurata da importanti riforme come la separazione di Stato e Chiesa, la riforma agraria e l’abolizione dei privilegi della vecchia nobiltà, cominciò presto a esaurirsi a causa delle violente lotte intestine tra destra e sinistra che culmineranno con la dura repressione dei moti asturiani del 1934.

La cattiva fama della Repubblica

In un paese che non conobbe l’illuminismo, la rivoluzione francese, tantomeno quella liberale, passato senza soluzione di continuità dagli Asburgo ai Borbone, con la breve parentesi dell’occupazione di Giuseppe Bonaparte, la Repubblica non godeva certo di buona fama. Non piaceva alla destra tradizionalista né a gran parte della Sinistra, che continuava ad auspicare una rivoluzione proletaria come accaduto pochi anni prima in Russia e Messico. Fu così che, in un clima di forte diffidenza, Franco trovò terreno fertile per la sua propaganda.

Nel frattempo la Repubblica, abbandonata a se stessa dalle democrazie di tutto il mondo, cadeva sotto gli occhi implacabili dell’indifferenza. La guerra civile spagnola fu la prova generale di una nuova dilaniante guerra mondiale, terreno privilegiato per testare nuove strategie di distruzione di massa, i cui scheletri nell’armadio permangono tutt’oggi, come severo monito, in un paese incapace di fare i conti con il proprio passato, come mostrato dalle violente polemiche scaturite dall’approvazione nel 2007 di una «Legge sulla Memoria storica» prontamente accantonata dal governo successivo.
In questo contesto quasi 40 mila volontari provenienti da più di 50 paesi giunsero in Spagna spinti dal desiderio di cambiare se non il mondo almeno il proprio ruolo in esso.

Giovani, studenti, qualche professore, intellettuali, artisti, ma soprattutto operai, proletari, lavoratori di ogni religione, colore e partito, furono i grandi protagonisti di questa storia. Tra questi il padre del dadaismo Tristan Tzara, il muralista messicano David Alfaro Siqueiros, l’eccentrico scrittore André Malraux fino ad arrivare a Pablo Neruda, console cileno a Madrid. Se Albert Camus non riuscì ad arruolarsi nelle brigate internazionali a causa delle sue precarie condizioni di salute, la filosofa francese Simone Weil trascorse un mese nella colonna comandata dall’anarchico Buenaventura Durruti, mentre George Orwell aderì come miliziano al Poum, il Partido obrero de unificación marxista.

Spettatori inermi di un inferno

Appoggiarono la Repubblica uomini come Max Aub, che organizzerà il padiglione spagnolo all’Esposizione Universale di Parigi del 1937, incaricando Pablo Picasso di realizzare un contributo alla causa. Il bombardamento tedesco di una piccola cittadina dei paesi baschi ispirerà al grande pittore lo struggente Guernica. Parteciparono inoltre Joan Miró, il cineasta Luis Buñuel e importanti fotoreporter come Henri Cartier-Bresson, Robert Capa e la sua compagna Gerda Taro, morta durante la battaglia di Brunete.

Tra i corrispondenti di guerra ricordiamo Langston Hughes, Klaus Mann, figlio di Thomas Mann, un giovane Antoine de Saint-Exúpery e lo stesso Hemingway. Sarà dalle stanze dell’Hotel Florida che lo scrittore statunitense darà inizio al proprio amore con Martha Gellhorn, spettatori inermi di un inferno che si consumava di fronte ai propri occhi.

 

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Nel giugno 1938, poche settimane dopo il bombardamento italiano di Barcellona, il tenore Ernst Busch, membro del Thälmann-Kolonne, un battaglione di 500 tedeschi, registra in maniera rudimentaria una serie di canzoni antifasciste. Si tratta di una straordinaria testimonianza umana. Alcune di queste vengono interrotte dalla mancanza improvvisa dell’elettricità durante i bombardamenti. L’album verrà pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti, nel 1940, dalla coraggiosa casa discografica Keynote Records con il titolo Six Songs for Democracy.

Il Battaglione Lincoln

Ad ogni modo sarà il Battaglione Lincoln a destare il maggior interesse da parte dell’industria musicale. Quasi tremila i volontari statunitensi giunti in Spagna tra il natale del 1936 e il ’37. Un centinaio gli afroamericani, ansiosi di lottare in nome di diritti che nella loro patria gli erano stati fino ad allora negati. Uomini come James Yeates e Oliver Law, primo comandante nero a guidare un battaglione di bianchi, morto pochi giorni dopo aver assunto l’incarico durante la battaglia di Madrid. Bisognerà attendere il 1950, con la guerra di Corea, per rompere nuovamente questo tabù razziale.
Infatuato dalle loro storie l’eclettico cantante e attivista nero Paul Robeson decide di viaggiare in Spagna nel 1938 per visitare il battaglione Lincoln. Si tratterrà tre mesi, al fronte, condividendone le sorti, per testimoniare la propria vicinanza e ammirazione. Con i volontari del Lincoln registrerà The Four Insurgent Generals e una versione di Peat Bog Soldiers.

Finita la guerra civile, con la sconfitta repubblicana, nel 1942, a New York, il produttore discografico Mose Asch, padre delle collane di dischi Folkways dello Smithsonian Institution, incarica Pete Seeger, Tom Glazer, Baldwin Hawes e Bess Hawes di registrare il 78 giri Songs of the Lincoln Batallion. Cavallo di battaglia del disco sarà la famosa Jarama Valley, dedicata alla battaglia per la difesa di Madrid in cui, in appena venti giorni, nel febbraio del ’37, morirono ventimila soldati.

Nel maggio del ‘37 le ataviche rivalità tra comunisti, stalinisti, trotskisti, internazionalisti, socialisti, anarchici e repubblicani iniziarono a riemergere con inaudita violenza. Regolamenti di conti, lotte clandestine, sabotaggi, delazioni, atti di umana viltà, il tutto condito con le immancabili fucilazioni di rito, minarono dall’interno quella che era stata l’esperienza rivoluzionaria più avanzata mai vista fino ad allora in Europa. Un anno dopo, con la battaglia dell’Ebro, si chiuderà amaramente la storia delle brigate internazionali.

In questo senso le pagine di George Orwell restano ancor oggi la più completa, intelligente, sottile ma allo stesso tempo drammatica testimonianza sulle purghe interne organizzate dagli stalinisti ai danni dei dissidenti anarchici, libertari e marxisti non allineati. In quest’ottica il suo Omaggio alla Catalogna (1938) è assai ben più attendibile di Per chi suona la campana (1940) del collega Ernest Hemingway, la cui prospettiva fu viziata fin dall’inizio da interessi più letterari. Quel suo Robert Jordan, protagonista del romanzo, un professore del Montana, wasp, romantico, avventuriero e solitario, era in fondo troppo simile allo stesso Hemingway per risultare credibile.

«Antifascisti prematuri»

I veri brigatisti erano in realtà gli operai, gli ultimi, gli esclusi, gli emarginati di una società che non fu mai disposta a prendersene cura. Nonostante molti di loro torneranno di lì a breve in Europa, con lo sbarco in Normandia del giugno del ‘44, per difendere il continente dall’avanzata dei totalitarismi, al loro definitivo rientro in America subiranno violente ritorsioni. Non gli si perdonerà mai l’aver combattuto in Spagna nelle file delle brigate internazionali. Sottoposti dall’Fbi a stretta sorveglianza per anni, calunniati, emarginati, accusati di essere dei potenziali sovversivi. Sul loro fascicolo negli archivi federali appariva la sigla «P.A.» («antifascisti prematuri»), che nell’America degli anni ’50 equivaleva a dire «comunisti».

Per saldare parzialmente i conti con quella «meglio gioventù» d’America, nel 1961, in occasione del 25º anniversario della guerra civile, la Folkways Records ristampava i due storici dischi di Pete Seeger e Ernst Busch. Un anno dopo pubblicava un secondo volume con selezione di canzoni registrata nella Repubblica democratica tedesca pochi mesi prima. Al fianco di Seeger, Guthrie e Busch apparivano cori catalani, asturiani e andalusi e un certo Bart van der Schelling, un clown e cantante d’opera olandese che partecipò come volontario nel Battaglione Lincoln e che in seguito dedicò gran parte della sua carriera a raccogliere fondi a favore delle vittime del nazismo in Europa.

Contemporaneamente, dall’altro lato dell’Atlantico, il cantautore libertario spagnolo Chicho Sánchez Ferlosio, esiliato in Svezia, firmerà Spanska motandssanger (Canzoni della resistenza spagnola) tra il 1963 e il 1964 diventando un riferimento internazionale per la canzone di protesta. Da segnalare, oltre al fondamentale lavoro di Paco Ibáñez nel reinterpretare la grande poesia di lingua spagnola, l’impegno civile della Nova Canço catalana e di artisti come Joan Manuel Serrat, Raimón, Lluis Llach, Elisa Serna, Maria del Mar Bonet per citare solamente i più noti. Ricordiamo i due dischi monografici sulle canzoni popolari e di resistenza della guerra civile firmati dal cantautore cileno Rolando Alarcón (1967) e dal messicano Óscar Chávez (1975), per arrivare al più recente ¡No pasarán! Canciones de guerra contra el fascismo dei catalani Francesc Pi de la Serra e Carme Canela con direzione musicale di Pere Camps (1997). Citiamo infine le due raccolte Spain in My Heart. Songs of the Spanish Civil War (2003) firmata da artisti di varie nazionalità, tra cui Arlo Guthrie, Lila Downs e l’immancabile Pete Seeger, e il monumentale Spain in my Hearth, la più grande raccolta di canzoni sul tema mai riunita finora, pubblicato in Germania dalla Bear Family nel 2015.

Bianchi e neri, stessi ideali

Canzoni di protesta in ricordo di una generazione che ebbe il coraggio di sfidare il potere guardandolo diritto negli occhi, come suggeriva Elias Canetti. Come scrisse l’afroamericano James Yeates, tra gli ultimi sopravvissuti del Battaglione Lincoln, sarebbero dovuti passare altri vent’anni per tornare ad assaporare quell’effimero vento di libertà vissuto in Spagna. Un paese in cui, nonostante la morte fosse sempre dietro l’angolo, bianchi e neri poterono per la prima volta convivere, condividendo lo stesso pane, gli stessi ideali, la stessa bandiera, in una comune lotta per l’uguaglianza e la giustizia.
Ad attenderli, una volta rientrati in America, ci sarebbero state nuove persecuzioni e battaglie in cui schierarsi. Le loro e quelle dei propri figli e nipoti, a cui in qualche modo aprirono la strada.