Sulla cannabis abbiamo avuto un’occasione ma il Parlamento non l’ha colta se non in minima parte. Approvando un testo assai blando sui soli impieghi terapeutici. Eppure proprio in questo tornante è apparso chiaro che non i numeri difettassero per una soluzione più avanzata quanto la volontà politica.

Volontà politica di quella maggioranza che così ha voluto e di quel Ministero della Salute che si conferma un buco nero della ragione, ancor prima che della scienza.

Era l’occasione, dopo oltre quattro anni di zigzagante discussione, per una norma cooperativa in cui la regolazione dello Stato e la libertà individuale vincevano entrambe. In cui perdevano solo le mafie e il loro incomprensibile appalto delle sostanze stupefacenti. A noi, italiani, una parte di quei 13 miliardi di euro annui stimati dall’Istat a fini di Pil, avrebbero fatto comodo. Comodo qualche decina di migliaia di posti di lavoro, comodo qualche milione di turisti in più e molte migliaia di detenuti in meno. Comodo ci avrebbero fatto strumenti utili a contrastare il degrado delle nostre periferie, dei nostri quartieri verso diverse misure per la sicurezza e la convivenza. Quattro anni fa nel dire queste cose si rischiava l’internamento, oggi, il fallimento di quel gigantesco dispositivo che per convenzione chiamiamo proibizionismo, ci consegna esperienze concrete, qua e là nel mondo, e dati sui quali fondare politiche nuove.

Le culture politiche elette in Parlamento, quelle almeno che ne compongono la maggioranza, non sono state purtroppo all’altezza mentre il Paese è cresciuto molto nel frattempo. E in questa distanza possiamo trovare i perché una Conferenza Nazionale sulle droghe che la legge pure prevede sfugga da nove anni: evaporate le teorie pseudoscientifiche, le falsificazioni, nel tracollo dei meccanismi di controllo della proibizione semplicemente la politica che ci ha governato in questi anni non sa cosa dire, cosa fare, se non reiterare il pessimo esistente.

Un provvedimento limitato alla cannabis terapeutica è sembrato ad alcuni risposta sufficiente al vuoto pneumatico delle idee. Peccato che contenga poco di più di ciò che dal 2007, decreto Turco, era già nelle facoltà del Ministero fare. Bisognerebbe chiedersi perché non sia stato fatto ma la risposta viene da sé.

Sarebbe bastato inserire la liceità della coltivazione per uso personale per cambiare radicalmente la qualità della legge. Obiettivo sfuggito per pochi segreti voti. In uno scenario nel quale si intravedono grandi potenzialità ma anche grandi interessi economico-farmaceutici evidentemente è sembrato troppo.

Tutto da buttare? No. Qualche vantaggio nell’uniformare le normative regionali ci sarà per i pazienti e per il processo formativo del personale medico, per la disponibilità dei farmaci, di produzione nazionale o d’importazione. Sempre che il Senato della Repubblica, cui il provvedimento è avviato, non lo vanifichi nell’ingorgo di fine legislatura. E che il prossimo Ministro non lo saboti come l’attuale.

C’era l’occasione per un salto epocale per cui molti si sono spesi, associazioni, singoli, avvocatura e magistratura. Dispiace non si sia conseguito. Soprattutto dispiace che l’attuale Testo Unico sugli stupefacenti continuerà ad esercitare i suoi pessimi effetti. Per fortuna gran parte del mondo rotola in un’altra, positiva, direzione ed è questione di tempo e di una classe politica all’altezza della storia che cambia. Tra qualche mese, con le elezioni politiche generali potremmo averne l’occasione.