Professor Caciagli, è la legge elettorale il fattore di stabilità in Germania?

Assolutamente no, la stabilità è data dal comportamento del ceto politico. In Germania i partiti prima di fare una crisi ci pensano un milione di volte. Fattori storici e di cultura politica sono assai più potenti anche dell’istituto della sfiducia costruttiva, che stabilisce che prima di buttare giù un governo bisogna averne pronto un altro. All’atto pratico la sfiducia costruttiva è stata tentata appena un paio di volte in settant’anni, ed è riuscita una volta sola. E anche allora, quando nel 1982 i liberali mollarono i socialdemocratici ed elessero Kohl, facendo quello che da noi chiameremmo il “ribaltone”, si gridò allo scandalo, al tradimento degli elettori.

Mario Caciagli è professore emerito dell’Università di Firenze, recente autore di uno studio su Rappresentanza e Consenso in Germania (FrancoAngeli) dal 1949 al 2013.

Professore, la traduzione italiana del modello tedesco prevede un solo voto invece che due, non c’è dunque la possibilità per l’elettore di votare in maniera disgiunta tra l’uninominale e il proporzionale. È una differenza importante?

Certo, perché il doppio voto consente all’elettore tedesco di votare il partito che sente più vicino, anche quando non ha speranza di vittoria nella sfida uninominale. Il voto disgiunto finisce con il favorire i grandi partiti, che nella storia sono stati i democristiani della Cdu/Csu e i socialdemocratici della Spd. All’uninominale l’elettore tedesco si è sempre dimostrato propenso a scegliere il partito meno lontano dalle sue convinzioni, scegliendo tra chi aveva possibilità concrete di successo.

Quindi in Germania il voto disgiunto, che in Italia si vuole adesso vietare, è stato molto utilizzato?

Si calcola da circa il 20 per cento degli elettori. Con un importante effetto politico, attenzione: il voto disgiunto incide anche sulle prospettive di coalizione.

In che senso?

Quando il potenziale elettore liberale nel collegio uninominale finiva per votare il candidato socialdemocratico, stava suggerendo ai socialdemocratici di cercare questo tipo di alleanza per il governo. E viceversa quando questo elettore liberale preferiva appoggiare i democristiani nella sfida a due. Questo tipo di tendenza era nota, dichiarata e dibattuta, oggetto di analisi del voto. Alla fine funzionava come suggerimento per il partito vincitore nella ricerca degli alleati. Rinunciando al voto disgiunto, in Italia si sta rinunciando anche a questo.

E lo si fa, secondo lei, per poter fare appello al voto utile, nell’unico segno che dall’uninominale si estende al proporzionale?

Immagino di sì, ma a mio avviso potrebbe rivelarsi un clamoroso autogol. Secondo me un elettore di sinistra, se ci sarà una lista a sinistra del Pd, voterà quella lista anche nell’uninominale, dal momento che non gli si offrono altre possibilità. Questo malgrado il proprio candidato potrà non avere chance di vittoria nell’uninominale. C’è una quota di elettori di sinistra che proprio non se la sente più di votare solo Il Pd, quindi alla fine – è la mia previsione – Renzi perderà voti invece di guadagnarli.

In Germania ci sono polemiche per i listini bloccati, si parla anche lì di deputati “nominati”?

Non mi risulta. Anche perché il listino di solito lo decide il partito a livello regionale. Qualche volta c’è stata polemica per la scelta dei candidati nei collegi uninominali, che i partiti dal centro volevano paracadutare. Ma spesso i partiti sul territorio sono riusciti a opporsi.

Quanto viene alterata la proporzionalità della legge dalla soglia del 5 per cento?

Storicamente pochissimo. Nel 2013 invece con l’aumento del margine della Cdu e per via del fatto che sono aumentati i partiti rimasti sotto la soglia, anche i liberali, per un totale di circa il 16 per cento di voti non rappresentato, la disproporzionalità è cresciuta. Ma è bene tenere presente che tutte le mosse del legislatore e soprattutto della Corte costituzionale sono andate nella direzione dell’aumento della proporzionalità.

Nel dibattito tedesco c’è chi propone di abbassare la soglia di sbarramento?

No, per una precisa ragione storica. La soglia ha consentito di tener fuori dal parlamento, negli anni Sessanta e Settanta, i neonazisti del Npd. Una discriminazione se vuole, ma il sentimento antinazista vinceva su tutto e nessuno se la sentiva di attaccare la soglia. Poi le cose sono cambiate, oltre ai due grandi partiti e ai liberali sono entrati in parlamento prima i Verdi poi la Linke. E adesso secondo i sondaggi dovrebbe entrare la destra di Alternativa per la Germania. Un partito xenofobo, ultimamente in calo e diviso, ma che il 24 settembre dovrebbe superare il 5 per cento. Magari per il rotto della cuffia, grazie ai voti dell’Est. E magari qualcuno proporrà di alzarla, la soglia.