Una sfida che fa tremare i polsi quella a cui si accinge da oggi Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, per il cinquantenario del Fespaco, il festival biennale pan-africano del cinema (e della televisione), con quel «pan», che rimanda al movimento anti-colonialista di 60 anni fa. Tremano i polsi degli organizzatori, del governo e della municipalità: c’è da dimostrare che le cinematografie pensate tra Tunisi e Città del Capo hanno un futuro e che Ouagà possa rimanere ancora una «città aperta» e non militarizzata.

DUE ANNI DI ATTENTATI (con almeno quattro episodi gravi) della guerriglia jihadista hanno seminato morte per le strade e nei locali pubblici, cambiando la vita a coloro che erano abituati a muoversi tranquillamente nella città.

Di tutto avrebbe bisogno il Burkina Faso tranne che dell’emergenza jihadista, che sposta sul piano della «sicurezza» tutte le attenzioni (e le risorse economiche) altrimenti dedicate alla ricerca di soluzioni per il diritto alla permanenza nella terra dove si è nati.

Invece si annunciano nuovi fattori di destabilizzazione: le mappe sulla sicurezza, diffuse periodicamente dal ministero degli Esteri francese, mostrano una zona «rossa» in progressiva espansione da due anni a questa parte. È stata portata da 12 giorni a sei mesi la durata massima dello stato di emergenza, dichiarato in 14 province di sei regioni, quelle da cui proviene la maggioranza degli immigrati del Burkina Faso in Italia.

DUE SONO I FATTORI che attualmente minano la stabilità del Paese: una forte resistenza al cambiamento da parte degli uomini vicini all’ex presidente Blaise Compaoré, deposto da una sollevazione popolare nel 2014 e le infiltrazioni dai vicini Mali e Niger di gruppi armati. Con effetti rilevanti anche sul mondo della cooperazione, visto il recente ritiro delle ing statunitensi e canadesi.

Le sfide del Fespaco si dislocano anche nel tempo: la nascita nel 1969 per volontà di un gruppo di cinefili, tra cui François Bassolet, Claude Prieux e Alimata Salembere desiderosi di rendere visibili agli africani produzioni realizzate nel continente. A quel tempo il paese si chiamava Alto Volta ed era privo di strutture cinematografiche. Il potenziamento, nel 1983, voluto dal presidente Thomas Sankara. Un’isola di autonomia culturale anche durante i 26 anni in cui Blaise Campaoré ha governato il paese, dopo il colpo di stato che costò la vita a Sankarà e a 12 suoi fedelissimi. Oggi fattore di richiamo per l’industria dell’intrattenimento sulle possibilità dell’Africa di avere un ruolo e uno spazio.

PER QUESTA EDIZIONE che avrà il Ruanda come paese ospite sono annunciate celebrità come Mouna N’diaye, attrice senegalese-burkinabé, Mariam Kaba, Aicha Maiga, Eric Ebouane, Issac de Bankole, Jacky Ido, i comici di Nollywood (l’industria cinematografica nigeriana), Will Smith. «Quasi 700 persone che operano nel settore sono attese dall’organizzazione – ci dice Mohamed Challouf, che col suo documentario Ouaga capitale du cinema (presentato a Venezia nel 2000) sarà una delle colonne del programma dedicato a «Memoria e futuro del cinema africano».

Promotore di varie rassegne sul cinema africano in Italia (la prima a Perugia nel 1982), Challouf con la Cinemateca tunisina di cui è consigliere artistico ha curato anche il restauro di Les Ecuelles (1983), uno dei primi documentari di Idrissa Ouedraogo, caposcuola della cinematografia burkinabè che se n’è andato un anno fa.

* Tamat Ong