Molto si è detto e scritto, a Roma e non solo, dell’imminente chiusura della libreria Feltrinelli in largo Colonna. Chiusura imposta, nell’immediato, dai lavori di ristrutturazione che da luglio renderanno inaccessibile per un anno la Galleria Alberto Sordi su cui si affaccia il punto vendita, ma che probabilmente si tradurrà nella cessazione di questa attività commerciale e nel suo trasferimento in un quartiere più accogliente rispetto al centro della capitale (si parla di Monteverde o di Centocelle).

In effetti la notizia non sorprende: tra i suoi effetti collaterali la crisi pandemica – in congiunzione con affitti sempre più cari nelle zone «di pregio» – ha colpito ovunque le librerie più centrali. Per citare un solo esempio – di cui si è scritto pure in questo spazio – a Parigi il Covid ha costretto la storica Gibert Jeune sul boulevard Saint-Michel a chiudere i battenti e a trasferirsi in un’area residenziale della città.

Insomma, a differenza di quanto accadeva pochi anni fa, una libreria – soprattutto se indipendente – ha maggiori possibilità di sopravvivere e di resistere all’onda d’urto delle vendite online quando è situata in periferia, magari in quelli che vengono chiamati quartieri-dormitorio e i cui abitanti a quanto pare, oltre a dormire, non hanno perso il gusto della lettura. La conferma viene ora da una delle capitali mondiali del libro, Buenos Aires, dove – scrive Daniel Politi sul New York Times «le librerie di vicinato si moltiplicano e prosperano nonostante la rigida clausura pandemica e una recessione che da anni devasta l’editoria e gran parte dell’economia».

Certo, per quanto riguarda il libro e la lettura, la situazione della capitale argentina è distante anni-luce da quella che conosciamo qui: basti pensare che Buenos Aires è al sesto posto nella graduatoria del World Cities Culture Forum per quantità di librerie rispetto al numero degli abitanti (Milano, prima città italiana nell’elenco, arranca in ventiduesima posizione, Roma in ventinovesima). Ma anche fatte le debite proporzioni, il reportage di Politi colpisce per la vitalità che sa trasmettere attraverso le voci dei librai intervistati. C’è Carime Morales, la cui Malatesta, aperta nel 2021 nel quartiere di Parque Chas, è andata così bene da costringerla a rinunciare al suo lavoro di editor freelance: «Malatesta – spiega la libraia – è nel cuore del quartiere, i residenti vanno a fare la spesa e poi si fermano da me per comprare un libro». E c’è Cecilia Fanti, che ha aperto la libreria Céspedes Libros nel 2017 e tre anni dopo ha dovuto trasferirsi in una sede più grande per adeguarsi alla domanda. E con loro ci sono Nurit Kasztelan, proprietaria nel quartiere di Villa Crespo della minuscola Mi Casa (la libreria è proprio in casa sua, i clienti si ricevono su appuntamento e sanno che qui potranno trovare volumi irreperibili altrove), e Cristian De Nápoli, che sintetizza così il segreto del successo della sua Otras Orillas e delle altre librerie indipendenti: «L’Argentina può essere sempre in crisi, ma i lettori non mancano, e non sono lettori qualsiasi, sono lettori sempre in cerca di qualcosa di nuovo».
Irresistibile la tentazione di confrontare queste parole con quello che ha scritto giorni fa su Facebook Giulio Mozzi, scrittore e editor, in un omaggio alle librerie tradizionali: «Non so quanti libri ho comperato, in vita mia, perché li ho incontrati per caso su uno scaffale di libreria. Non sapevo nulla dell’opera e di chi l’aveva scritta: li ho sfogliati, e ho deciso di leggerli. Alcuni sono diventati libri importantissimi nella mia vita». Ma la conclusione è amara: «Sì, lo so, sono le fantasie di un vecchio pazzo, nato e cresciuto in un mondo che non c’è più».
A Buenos Aires, a Buenos Aires!