L’ha tenuto per venti anni nascosto in un cassetto. Riteneva che i tempi per la pubblicazione non fossero maturi. Poi, dopo aver dato alle stampe un primo volume dedicato all’ipotesi di un cristianesimo senza religione, a pochi mesi dalla morte avvenuta alla fine del 2023, ha trovato il coraggio di dare il suo assenso a che L’implosione di una religione – in sostanza il suo testamento – uscisse in tutte le librerie grazie a Gabrielli editore con la curatela di Ferdinando Sudati (pp. 298, euro 20).

L’HA FATTO PERCHÉ, ha raccontato lui stesso, «prima della morte fisica ho conosciuto un’altra morte, quella che mi ha portato a separarmi dalla maggior parte delle convinzioni che avevano tessuto la trama della mia vita e sulle quali avevo scommesso la mia esistenza». Ha confessato: «Se morire è perdere tutto per rimanere soli e nudi davanti a Dio, allora sì, credo di avere sperimentato una morte». E ancora: «È il mondo in cui sono vissuto, che mi ha formato, che ha strutturato la mia personalità e con cui ho identificato la mia vita, che è crollato dentro e intorno a me».
Bruno Mori non è stato il classico «teologo del dissenso», critico verso gli atteggiamenti più tradizionali della Chiesa. Presbitero italiano da anni in missione in Canada, Mori è stato un prete che ha speso tutta la sua vita all’interno della Chiesa tradizionale.

EPPURE, AL TRAMONTO dei suoi giorni, dopo conflitti interiori iniziati anni prima, ha compreso quello su cui diversi teologi insieme a lui stanno facendo luce: la visione che le Chiese– e più in generale il cristianesimo del paradigma premoderno – propongono da secoli, ha fatto il suo tempo. E come Simone Weil che auspicava la totale libertà dell’intelligenza dal dogma, ha preferito guardare oltre. Perché è questo il nocciolo della sua tesi: il Dio teistico che suppone l’antica cosmologia, che sta nei cieli e che dall’alto interviene a piacimento nella vita degli uomini, quel Dio che ancora oggi la chiesa cattolica chiede ai suoi fedeli di seguire e pregare, non esiste. Gesù stesso, del resto, non si è mai proclamato Dio in senso ontologico, come il cristianesimo dal Concilio di Nicea in poi ha invece preteso di sancire in dogma. «Preferisco – dice non a caso Mori – essere un credente che ammette di non aver alcun controllo su Dio, piuttosto che qualcuno che crede di poterlo imprigionare nella rigidità del dogma e nella magia del rito».

SONO DIVERSI gli uomini e le donne del nostro tempo che non possono più concepire Dio in termini teistici, come colui che vive nell’alto dei cieli e da lì interviene nella storia. Anche perché, se così fosse, sarebbe un Dio ingiusto, che premia e castiga secondo criteri imperscrutabili. In questo senso, anche il dogma dell’incarnazione divina di Gesù, su cui la Chiesa fonda la propria storia, non è credibile: Gesù non si è mai chiamato Dio, non si è mai proclamato tale. Eppure, questo dogma costituisce la chiave di volta del cristianesimo, ed è ciò che ha giustificato l’agire della Chiesa fino a oggi. «I papi di Roma – scrive Mori – convinti di occupare in terra il posto di Dio in cielo non esiteranno ad agire come despoti assoluti, attribuendosi l’autorità e il potere supremo di un dio». Tuttavia, mentre in passato era impossibile essere cristiani senza credere nella divinità di Gesù, oggi «molte persone non vedono più la necessità di tale fede per considerarsi seguaci del Nazareno».
Prima di morire fu il cardinale Carlo Maria Martini a dire al gesuita Georg Sporschill che la Chiesa è rimasta indietro di duecento anni. Oggi sono diversi teologi a sostenerlo e a chiedere, con Mori, un cristianesimo nuovo. Al post-teismo da tempo dedica articoli il settimanale d’informazione indipendente Adista. Mentre sull’ultimo numero de Il Regno è il teologo Giovanni Ferretti a fare una disamina obiettiva della «sfida del post-teismo».

LA META è un nuovo mondo, più vicino all’autentica via aperta da Gesù, la via di coloro che rifiutano l’invenzione di un Dio onnipotente che dirige il mondo dai cieli e abbracciano al contrario il mistero del divino che vive nei cuori, un mistero tuttavia di cui nulla si sa né si può dire. La via, ancora, è quella seguita da due grandi mistici cristiani, Meister Eckart e Teilhard de Chardin ed anche, in certo qual modo, dal cristianesimo non religioso di Dietrich Bonhoeffer e dal filosofo Baruch Spinoza. Sento, scrive Mori, «che non posso più essere cristiano secondo il modello tradizionale e che mi è impossibile essere cattolico secondo la formula romana». E ancora: «Nessuno può dire con certezza quale sarà la mappa di questo nuovo Paese», scrive. «Forse ci vorranno generazioni prima che questi ’sopravvissuti’ dell’Istituzione ecclesiastica possano decifrare il significato del loro viaggio e ricostruire un nuovo paesaggio per la loro fede».

MORI HA SCRITTO le sue pagine senza astio e animosità. La Chiesa, ad oggi, non l’ha censurato. Del resto, non è solo. Già il teologo riformato Jürgen Moltmann affermava che si è atei di un Dio impossibile da credere, il Dio dell’Istituzione. Concetti ripresi dal vescovo episcopaliano John Shelby Spong in Incredibile (Mimesis). E, nell’ambito cattolico, dal Gesù di Nazaret del gesuita Roger Lenaers (Gabrielli) e, in forma più esplicita, dagli scritti di diversi teologi post-teisti.