La lettera di Theresa May è finalmente arrivata ieri a Donald Tusk, presidente del Consiglio Ue: la Gran Bretagna chiede ai 27 «più tempo al parlamento per mettersi d’accordo», cioè un’«estensione» dell’articolo 50, fino al 30 giugno, per evitare un’uscita con un no deal il 29 marzo a mezzanotte (ora di Londra), cioè tra meno di dieci giorni.

UN’ESTENSIONE «CORTA», dunque, che per May dovrebbe permettere al parlamento britannico di votare ancora una volta sull’accordo di divorzio, già respinto a due riprese da Westminster. Lo speaker della Camera dei Comuni, il brexiter John Bercow, ha però già respinto un terzo voto, in nome di una giurisprudenza che risale al 1604, potrebbe concederlo solo se il testo venisse modificato, cosa impossibile visto che a Bruxelles lo escludono: dopo più di due anni di negoziati pare assurdo pensare a cambiamenti dell’ultimo minuto. Tusk ha risposto accettando l’ipotesi, ma «ad alcune condizioni».

I leader europei discuteranno di Brexit all’apertura del Consiglio europeo, oggi pomeriggio. Ascolteranno May, poi si riuniranno a 27, secondo il format «articolo 50». Potrebbero convocare un nuovo Consiglio, la prossima settimana, se non riuscissero a trovare una risposta unanime alla richiesta di May. Per gli europei, l’estensione non è automatica. Secondo Michel Barnier, il negoziatore Ue, la concessione di un’estensione deve essere «legata a un avvenimento nuovo o a un processo politico nuovo» (cioè a elezioni anticipate o a un nuovo referendum). Per la Francia, l’estensione «non si sostituisce a un piano» per le relazioni future, ha precisato il ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian. Angela Mekel ha dichiarato di volersi «battere fino in fondo prima della data limite del 29 marzo per arrivare a un’uscita ordinata». 

LA COMMISSIONE è dubbiosa: un’uscita il 30 giugno arriva «troppo tardi» e farebbe correre un «grave rischio giuridico» alla Ue, perché ci sono le elezioni del 23-26 maggio. Bruxelles propone quindi la data del 23 maggio, il giorno di inizio della tornata elettorale delle europee. Escludere una nuova estensione dopo il 30 giugno, se in Gran Bretagna la situazione politica non evolve, significa inoltre rendere un no deal inevitabile, se in tre mesi non si trovasse una via d’uscita. Per la Commissione potrebbe anche essere accordato un tempo più lungo, fino a fine anno: l’obiettivo di Bruxelles è di prendere tempo, per sperare che intervengano decisioni politiche (nuove elezioni con una nuova maggioranza a Londra, oppure un secondo referendum), con l’obiettivo di arrivare a una Brexit annacquata, con la Gran Bretagna che resta nell’unione doganale (unica soluzione per evitare il ritorno alla frontiera tra le due Irlande, situazione che rischia di degenerare in violenza, perché contraddice l’accordo di pace del Good Friday del 1998).

Un’estensione fino a fine anno implicherebbe la partecipazione della Gran Bretagna alle elezioni europee.

Questa soluzione ha i suoi rischi, anche per la Ue, perché nel periodo di purgatorio, in attesa del divorzio, la Gran Bretagna avrebbe dei parlamentari, un commissario, e parteciperebbe a tutte le decisioni della Ue, con il potere di sabotaggio, di un braccio di ferro nocivo e senza senso. Il risultato potrebbero essere ancora mesi di paralisi, mentre grosse decisioni devono essere prese, a cominciare dall’offensiva contro le mire espansionistiche della Cina o il rilancio della politica industriale, temi centrali del Consiglio europeo di oggi e domani.

LA GRAN BRETAGNA, se parteciperà alle elezioni europee a causa dell’estensione dell’articolo 50, ha tempo per decidere fino all’11 aprile: è la data-limite a Londra per organizzare lo scrutinio. Inoltre, resta l’incognita su come reagiranno i cittadini britannici chiamati eventualmente a votare per l’europarlamento, mentre quasi tre anni fa hanno approvato il Brexit. Cosa voteranno? Si sfogheranno votando per l’Ukip, favoriranno a Strasburgo un successo dei nazionalisti? Il no deal si avvicina, the clock is ticking, a Bruxelles sono stanchi e rassegnati. La Ue si è preparata, più della Gran Bretagna. Ma lo scossone sarà forte, per entrambe le parti (trasporti, commercio, pesca…, per non parlare dell’Irlanda).