Il miracolo non è avvenuto. Il candidato del Psol Guilherme Boulos non ce l’ha fatta, a São Paulo, ad avere la meglio sull’attuale sindaco del Psdb Bruno Covas, ottenendo il 40,62% delle preferenze rispetto al 59,38% del vincitore: un distacco più pesante del previsto.

«Non sarà in questa elezione, ma vinceremo», ha reagito il leader dei Senza Tetto, che, risultato positivo al Covid, ha dovuto rinunciare alle ultimissime fasi della campagna, compreso l’atteso dibattito finale con l’avversario sulla Tv Globo. Ma per lui si tratta di una sconfitta relativa.

Dopo una campagna elettorale condotta con pochissime risorse, Boulos è infatti riuscito a imporsi come uno dei maggiori leader della sinistra brasiliana, rivelando una grande abilità nell’uso delle reti sociali – l’impatto dei suoi post, secondo la rivista di destra Veja, è risultato 20 volte superiore a quello di Covas – e riuscendo a riunire intorno a sé, al ballottaggio, non solo la sinistra, ma pressoché tutto il fronte progressista, oltre a un’ampia rete di artisti, intellettuali e influencer. Il futuro e difficilissimo dibattito sulle alleanze in vista delle presidenziali del 2022 non potrà di sicuro prescindere da lui.

Ma è per la sinistra nel suo insieme – con 10 milioni e mezzo di preferenze su 102 milioni di voti validi – che il risultato delle municipali si rivela estremamente deludente.

Se il Psol si salva, festeggiando, oltre all’ottima prestazione di Boulos, la conquista di Belém con Edmilson Rodrigues, a uscire con le ossa rotte dalle municipali è soprattutto il Pt, sempre più incapace di offrire alternative e sempre più distante dalle rivendicazioni popolari.

L’atteso riscatto dalla disfatta del 2016 si è infatti rivelato un miraggio: sconfitto a Recife e a Vitória, il Pt non è riuscito a imporsi in nessuna delle capitali (quattro anni fa aveva conquistato Río Branco) e può solo consolarsi con la vittoria in quattro tra i cento municipi più grandi del Brasile (non ne governava attualmente nessuno): Diadema, Mauá, Contagem e Juiz de Fora. Niente da fare anche per Manuela D’Avila del PcdB, la cui sconfitta a Porto Alegre è dovuta almeno in parte a un’ininterrotta campagna di fake news.

È andato meglio il centro-sinistra (forte di 12 milioni di voti), con la vittoria a Fortaleza e ad Aracaju del Partido Democrático Trabalhista (Pdt) di Ciro Gomez (lo stesso che, prima del ballottaggio alle ultime presidenziali, se ne era andato a Parigi facendo mancare il suo sostegno ad Haddad) e con quella a Recife e a Maceió del Partido Socialista Brasileiro (Psb).

Per il resto, il secondo turno delle municipali di domenica ha confermato quanto era già chiaro dopo il 15 novembre: una grande affermazione dei partiti della destra neoliberista Dem (Democratas) e Psdb (il partito socialdemocratico) – che si preparano così ad affrontare nelle migliori condizioni le presidenziali del 2022 -, e la completa débâcle di Bolsonaro, i cui candidati sono stati sconfitti praticamente ovunque, a partire da Rio de Janeiro, la vera base territoriale del bolsonarismo.

Un disastro a cui il presidente ha reagito a modo suo, prendendosela con il voto elettronico, a suo giudizio poco affidabile. Ma è evidente che il suo governo si troverà ora a dipendere sempre più dal cosiddetto Centrão (o, come lo chiamano altri, Direitão): il blocco di partiti senza alcun preciso orientamento ideologico disposto ad appoggiare chi sia in grado di assicurargli i maggiori vantaggi. E in vista delle presidenziali non è per lui una buona notizia: non a caso, c’è già chi ha cominciato a definire il presidente come “Jair il breve”.