Ieri alle 3 del mattino un forte boato ha destato Kramatorsk, poi un altro e ancora fino alle 4, quando la detonazione è stata talmente forte da far tremare le finestre. Il suono è rimbalzato sui palazzi ed è arrivato talmente nitido da dare l’impressione che fosse stato colpito il palazzo accanto.

CI SIAMO VESTITI in fretta e siamo rimasti in attesa, il palazzo dove siamo non ha dei sotterranei adeguati per rifugiarsi e, del resto, è stato già bombardato tre settimane fa. Le nostre finestre sono tra le poche ancora integre, tutte le altre sono solo telai o vetri rotti. A ogni modo, abbiamo atteso, come tutti gli altri abitanti della città, che venisse l’alba per capire cosa fosse successo.

Uno dei missili aveva effettivamente colpito un edificio residenziale a poche centinaia di metri da noi distruggendo un chiosco di hamburger considerato da molti il più buono della città. Tuttavia, i danni più ingenti si sono registrati negli edifici di un complesso scolastico che comprende sia un asilo sia una scuola elementare. Al momento non si hanno notizie di morti ma le autorità locali hanno segnalato 25 feriti.

Mentre lasciavamo la città diretti verso Pisky, abbiamo notato un signore corpulento di mezza età che fissava la facciata del palazzo distrutta. Lo osservavamo perché sembrava piangesse, invece non stava versando lacrime, tutt’altro, aveva gli occhi asciutti come quelli di un cadavere. Guardava dritto davanti a lui, immobile, quasi senza sbattere le palpebre come se quell’ennesimo attacco gli avesse succhiato via ogni forza vitale.

Anche gli agenti di polizia che stavano delineando l’area non erano frenetici ed energici come quelli di Odessa o di Leopoli, tutto si svolgeva con lentezze, quasi svogliatamente. Ed è un fatto che la guerra riesce a togliere la vitalità anche a chi non la combatte.

A PISKY LA STRADA a un certo punto si interrompe. Ci sono dei militari armati e tra i dissuasori di cemento una fila di chiodi a quattro punte incatenati. Non si passa se non si è militari e infatti la procedura per poter accedere alla linea del fronte richiede l’arrivo dell’ufficiale di collegamento e una serie di controlli dei documenti. Qualche minuto dopo ci lasciano avanzare fino a un cavalcavia sotto al quale ci sono delle postazioni di tiro, alcuni depositi e degli uomini di guardia che controllano di nuovo le nostre identità fino all’arrivo di Natalia.

Natalia è una signora di circa 45 anni, bassa e bionda con gli occhi azzurri, da civile era giornalista per la televisione nazionale e ora è un «soldato dell’esercito ucraino», come lei stessa si definisce. Ci accompagna a visitare le trincee e segue ogni nostra mossa con estrema attenzione, pronta a bloccare ogni ripresa considerata «strategica». Per arrivare all’avamposto ucraino dobbiamo passare attraverso un campo aperto, non protetto dalla boscaglia. A est si vede chiaramente Donetsk e una torre dell’area industriale occidentale della città, proprio sotto l’aeroporto famoso per la sanguinosa battaglia di fine 2014.

«SAREBBE MEGLIO andare un po’ più veloce – dice Natalia – In quella torre ci sono i cecchini». Acceleriamo il passo fino a essere protetti di nuovo dalla boscaglia e dopo poco arriviamo al campo base. Le trincee di Pisky non sono come quelle di Avdiivka o Lyman, non servono solo a difendersi dai colpi nemici e a rispondere al fuoco, ma si sviluppano per centinaia di metri tra gli alberi e le radure che delimitano lo schieramento ucraino, la terra di nessuno e lo schieramento dei separatisti della Repubblica Popolare di Donetsk, ora sotto il controllo russo.

MOLTI SOLDATI QUI hanno famiglia a Mariupol o Kherson e preferiscono non farsi fotografare. Gli altri, nonostante facciano finta di niente, quasi si mettono in posa. Il comandante Victor ci mostra la casamatta, due baracche con delle cuccette a castello di legno, le postazioni di tiro delle mitragliatrici pesanti e degli Rpg e il suo punto di comunicazione con la radiolina appesa a un chiodo che pende da una trave di legno. Victor è gentile ed educato, sarà alto un metro e novanta e su una delle narici ha la classica cicatrice a tre linee di chi ha subito un intervento di ricostruzione al setto.

«Oggi per fortuna è calma, ma stanotte hanno colpito duramente», ci spiega. E difatti, anche qui come in molti altri centri del Donbass neanche oggi i russi sono riusciti ad avanzare. La famosa Donetsk, citata in tutto il mondo da almeno tre mesi come pomo della discordia tra russi e ucraini, vive l’ennesimo giorno di bombardamenti.

Anche nell’oblast di Lugansk, accomunato a quello di Donetsk da una sorte gemella, continuano i bombardamenti. Secondo il governatore regionale, Sergiy Haidai, che dall’inizio della guerra è stato uno dei politici ucraini più attivi sui social network, nelle ultime 24 ore altri cinque civili sarebbero morti a causa dei bombardamenti russi nelle aree residenziali delle città.

DI CONTRO, dalla regione di Kharkiv continuano ad arrivare notizie della controffensiva ucraina. Nei giorni scorsi si parlava di addirittura sessanta chilometri di terreno riconquistato dall’esercito di Kiev. Ieri il comandante in capo delle forze armate ucraine, Valeriy Zaluzhny, ha dichiarato che «le truppe ucraine sono passate alla controffensiva nelle zone nei pressi di Kharkiv e della città occupata di Izyum». Zaluzhny ha aggiunto che in queste ore sono in corso battaglie sanguinose nelle vicinanze di Popasna, Kreminna e Torske, nell’oblast di Lugansk, «dove si concentrano gli sforzi principali degli occupanti russi».

Più a ovest, verso Zaporizhzhia, la città che ha ospitato i civili evacuati dall’inferno di Mariupol, l’artiglieria di Mosca continua a colpire. Ieri è stato bombardato un edificio residenziale a Polohy, una città della regione e una donna è rimasta uccisa, secondo quanto riferisce l’amministrazione militare regionale. Tra l’altro, nel capoluogo regionale, il sindaco Anatolii Kurtiev, ha istituito un nuovo coprifuoco prolungato dalle 7 dell’8 maggio fino al 10. In altri termini, i timori per un massiccio attacco russo nella data simbolica del 9 maggio iniziano a produrre i primi effetti.

Sul fronte sud, a Kherson, da diversi giorni gli occupanti russi non permettono a nessuno di lasciare le aree sotto il loro controllo e anche la Croce rossa internazionale sta riscontrando molte difficoltà a entrare nei territori occupati per consegnare gli aiuti umanitari e le forniture mediche.