Ieri, per la prima volta dalle vittoria nelle urne, Giorgia Meloni ha parlato in pubblico, di fronte all’assemblea di Coldiretti a Milano. Ieri, per la prima volta dall’inizio della guerra, in Italia il gas russo non è arrivato per niente. Basta la coincidenza a chiarire cosa campeggia negli incontri tra i leader ma anche nel lavorio per la formazione del prossimo governo: non il rebus dei ministeri ma il caro bollette, che è un problema più grosso e quasi altrettanto urgente. La tabella di marcia della futura presidente incaricata prevede il varo del governo per il 25 ottobre. Tempi fulminei con l’intenzione di battere ogni record ma anche imposti dalla sferza della crisi.

PRIMA DI RIVOLGERSI alla folla la leader tricolore era passata da Arcore per una visita «di cortesia» organizzata già dalla sera prima. L’incontro con Berlusconi, a quattr’occhi, è durato una mezz’ora. La versione ufficiale è che di nomi e ministeri non si è fatta parola. Difficile crederci ma probabilmente è vero che il grosso della chiacchierata è stato dedicato a bollette ed energia. Cioè alla domanda che per ora è senza risposta: «Che fare?». Qualche idea è spuntata: la limitazione del Rdc restringendo a una sola offerta il diritto di rifiuto, il taglio del Superbonus, anche se ancora non è chiaro se con diversificazioni tra prima e seconda casa o con una sforbiciata dal 110 al 70-80%. Ma è lontanissimo dal bastare. La strada che vorrebbe seguire Meloni è centralizzare tutti gli aspetti della crisi energetica affidandoli a un supercommissario sul modello della crisi Covid.

IL DISCORSO della vincitrice dal palco dei coltivatori riflette l’urgenza del problema e lascia intravedere lo slittamento nell’approccio dei vincitori che la situazione impone. Meloni si ricorda per la prima volta di essere sovranista. Parla di «sovranità alimentare», assicura che il suo eventuale governo partirà dall’«interesse nazionale» ma per approdare a «soluzioni comuni». Il pezzo forte però è sulla crisi. La tricolore sottolinea di essere «in costante contatto con il governo uscente impegnato in una trattativa molto complessa». L’obiettivo del resto è identico: «Il problema non è compensare la speculazione ma fermarla. Il lavoro che va fatto è capire come intervenire sui costi energetici in autunno: non possiamo andare avanti come in questi mesi».

MELONI LA CONCILIANTE garantisce infine che «non faremo da soli: coinvolgeremo i corpi intermedi». Si rivolge a un corpo intermedio come Coldiretti ma sullo sfondo si intravedono intenzioni meno circoscritte. Nel suo primo e unico comunicato dopo le elezioni aveva invitato tutte le forze politiche a fare fronte comune contro la crisi. Berlusconi è andato oltre: «Nel nuovo governo servirà l’impegno di molti, in uno sforzo di vera unità nazionale come condizione d’animo del Paese». La crisi non permette, o almeno sconsiglia, il fronteggiamento duro, il «guai ai vinti».

Le bollette tengono banco ma i dilemmi delle poltrone restano. La porta stretta, anche senza l’assillo delle pretese di Salvini su un suo ritorno al Viminale, resta la Lega. Il capo sconfitto vuole 4 ministeri: Interni, Infrastrutture, Affari regionali e Agricoltura, posto che occuperebbe di persona. Forse non solo per andare incontro all’assemblea di Milano ieri ha urlato via Twitter che «la difesa di agricoltori, allevatori e pescatori italiani sarà una priorità del governo. Viva l’Italia anche a tavola». Al ministero si dovrebbe comunque accompagnare la carica di vicepremier, in tandem con Tajani, per assicurare a Salvini la vistosità dei gradi.

PRIMA DEL GOVERNO però bisognerà passare per l’elezione dei presidenti della Camere, che inciderà sulla definizione della squadra: come dice un dirigente FdI, «una presidenza vale due ministeri». Salvini vorrebbe la presidenza della Camera, per bloccare al Senato il compagno di Carroccio Calderoli di cui si fida poco. In questo caso il Senato dovrebbe andare a Fi ma FdI non è ancora convinta di lasciare quella postazione nevralgica, e nel caso scegliesse di tenerla per sé, il candidato in pole sarebbe Ignazio La Russa. La scelta più urgente è naturalmente quella del ministro dell’Economia, perché come si fa a impostare una risposta alla crisi senza sapere chi è il più diretto interessato? Lì però è ancora notte fonda.