Vittime del terrore di Boko Haram e del “fuoco amico” del governo nigeriano. Sarebbero almeno 45 i corpi recuperati a seguito del raid di sospetti miliziani del locale gruppo qaedista nei pressi di Lassa – nel sud dello stato del Borno – e delle mitragliate indiscriminate da parte di un aereo da guerra governativo: che nel tentativo di respingere i miliziani pare abbia ucciso almeno 6 civili, 4 donne e 2 bambini.

Tra le file degli estremisti islamici sarebbero invece 25 le vittime per mano dei vigilantes locali, notizia riportata da residenti e da una fonte della sicurezza, ma difficilmente verificabile: stando ai racconti di alcuni testimoni, le squadre di Boko Haram avrebbero portato via i loro morti a bordo dei veicoli con cui avevano fatto irruzione contro la comunità a maggioranza cristiana.

L’assalto al villaggio agricolo di Dille, nel distretto di Askira Uba – a circa 200 km dalla capitale del Borno, Maiduguri – sarebbe stato lanciato tra domenica e lunedì. Domenica sera miliziani armati a bordo di fuoristrada avrebbero aperto il fuoco contro i civili e lanciato granate a propulsione ed esplosivi nelle case. Lo raccontano i residenti scampati alle raffiche di proiettili sparati dalle colline limitrofe contro chi il lunedì mattina tentava di fare ritorno nel villaggio dopo aver passato la notte nelle boscaglie circostanti. L’attacco sarebbe seguito a un altro nel villaggio di Buttuku, nel vicino stato dell’Adamawa. Oltre al danno la beffa come si suol dire, visto che a sparare successivamente contro gli abitanti del posto che si trovavano alla fermata dell’autobus nell’intento di fuggire via, sono stati due caccia militari governativi rei di aver scambiato gruppi di civili per qaedisti in fuga.

I sospetti Boko Haram responsabili dell’assalto a Dille, non distante dal confine con il Camerun, si presume che provenissero dalla foresta di Sambisa, considerata loro roccaforte e il luogo dove sarebbero detenute almeno alcune delle oltre 200 ragazze rapite da Chibok ad aprile scorso. A proposito di queste ultime, nei giorni scorsi a lanciare un appello diretto a Boko Haram per la loro liberazione era stata Malala Yousafzai, l’attivista adolescente pakistana sopravvissuta all’agguato mortale tesole dai talebani per le sue campagne a favore del diritto all’istruzione delle donne: «Il presidente mi ha promesso … che le ragazze rapite torneranno alle loro case presto» aveva dichiarato alla stampa Malala (durante le celebrazioni ad Abuja del “Malala day” istituito in suo onore dall’Onu per promuovere l’educazione delle donne e delle bambine) dopo un incontro di 45 minuti con il presidente nigeriano Goodluck Jonathan: il quale ha definito la situazione delle giovani sabine «complicata» e ha detto che le loro vite potrebbero essere messe a rischio qualora si decidesse un intervento militare di salvataggio.

Jonathan, in vista delle elezioni presidenziali del 2015, è oggetto di forti critiche, sia in Nigeria che all’estero, per non aver fermato l’avanzata di Boko Haram e non aver risolto il sequestro di Chibok nonostante il sostegno dell’intelligence dei paesi occidentali tra cui Gran Bretagna, Francia, Usa e Israele.

Critiche che neanche l’arresto a Khartoum e poi l’estradizione in Nigeria di Aminu Sadiq Ogwuche è riuscito a smorzare. Ogwuche è ritenuto il principale indiziato ad aver orchestrato il duplice attacco dinamitardo ad Abuja – tra cui quello alla stazione degli autobus di Nyanya di alcuni mesi fa che ha provocato 75 vittime.