È scontro a Montecitorio sull’audizione, prevista per oggi, di una rappresentante di Sea Watch nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia dove è in discussione il decreto sicurezza bis. Prendendo a pretesto l’inchiesta che ad Agrigento coinvolge la ong tedesca e la capitana Carola Rackete, Lega e Fratelli d’Italia hanno ottenuto l’annullamento dell’audizione della portavoce della ong Giorgia Linardi che nella scorse settimane era stata richiesta da Pd e +Europa. Una decisione presa anche grazie al silenzio del M5S e che non cambia neanche quando a sera arriva la notizia che il gip di Agrigento Alessandra Vella non ha convalidato l’arresto della Rackete. Inutili anche gli appelli rivolti dalle opposizioni al presidente della Camera Roberto Fico. «È lei presidente che deve difendere le prerogative delle minoranze, perché una democrazia che non difende le minoranze non è democrazia», ha detto parlando in aula il dem Emanuele Fiano. Per il deputato di +Europa Riccardo Magi, che ha accusato il M5S di «complicità nell’ennesimo attacco all’autonomia dei parlamentari», dietro l’annullamento dell’audizione «c’è il tentativo della Lega di nascondere che i professori e gli esperti di diritto auditi hanno demolito il decreto sicurezza bis».

In effetti per il nuovo provvedimento-manifesto del ministro dell’Interno Matteo Salvini quella di ieri è stata una giornata da dimenticare. Giuristi, magistrati e avvocati si sono infatti succeduti nelle commissioni non risparmiando critiche al decreto. Tra i giudizi più severi proprio il capo della procura di Agrigento, Luigi Patronaggio, titolare della nuova inchiesta sulla Sea Watch 3. In meno di quindici minuti il magistrato ha smontato molti dei capisaldi della politica anti migranti di Matteo Salvini. A partire dai presunti contatti tra le navi delle ong e le organizzazioni criminali che allestiscono le traversate del Mediterraneo con i barconi. «Fino a oggi non sono mai emerse collusioni tra le ong e i trafficanti di esseri umani», ha confermato il magistrato, che poi liquidato come non vera anche la tesi che vuole la Libia come un porto sicuro dove riportare i migranti: «Quando si parla di porto sicuro – ha spiegato ai deputati che lo ascoltavano – non si intende soltanto un porto dove il naufrago può mettere piede sulla terraferma, ma un porto dove il migrante possa avere garantiti tutti i diritti fondamentali della persona». Ingiustificati, per Patronaggio, anche i motivi di urgenza che avrebbero dettato la scelta di procedere con un decreto visto che il numero degli sbarchi è fortemente diminuito rispetto agli anni passati, come del resto riconosciuto dallo stesso Viminale.

Ma è sulla Libia che il magistrato punta il dito. La responsabilità delle operazioni di soccorso non significa avere la sovranità sul tratto di mare nel quale si interviene e sopratutto, spiega, l’area gestita da Tripoli «non è adeguatamente coperta dalla Guardia costiera e funziona solo grazie all’accordo bilaterale con l’Italia». Su questo punto la procura di Agrigento ha avviato un’inchiesta e raccolto documentazione sia dall’Unhcr l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, che da altri organismi internazionali.

Il magistrato che indaga sulla Sea Watch ha poi escluso contatti tra le ong e i trafficanti, specificando che eventuali accordi, se mai esistessero, «non devono essere limitati a un semplice contatto, tipo una telefonata, ma deve esserci una comunicazione del tipo: “Stiamo facendo partire i migranti, avvicinatevi e prelevateli”». A preoccupare allora non sono le navi delle ong, che portano migranti che vengono immediatamente identificati dalle forze dell’ordine, bensì i numerosi sbarchi fantasma fatti con piccole imbarcazioni che nella maggior parte dei casi partono dalla Tunisia: «Chi va sui gommoni fantasma è evidente che vuole sottrarsi ai controlli», è la conclusione del magistrato.