«È chiaro che Gaza non può continuare a essere governata da Hamas. È altrettanto chiaro che Israele non può rioccupare Gaza». Le parole del segretario di Stato Usa Antony Blinken a Tokyo, durante l’incontro dei ministri degli Esteri del G7, non possono che essere interpretate come un riferimento alle affermazioni di Netanyahu sulla «presenza a tempo indeterminato» delle truppe israeliane a Gaza. Una crepa nel rapporto tra i due principali alleati, che arriva a due giorni dalla chiamata in cui il presidente Usa Joe Biden ha insistito con Benyamin Netanyahu su «pause», anche di giorni, nei combattimenti – seguita da un’intervista del premier israeliano ad Abc in cui ha concesso la possibilità di sospensioni dei combattimenti appena «per qualche ora», «qui e là».
Da giorni ormai gli Usa si sono fatti sponsor di «pause umanitarie» che consentano l’ingresso nella Striscia di aiuti, e l’uscita dei feriti più gravi. Ignorati, nel loro appello, dal governo israeliano. Ma il chiaro riferimento alla necessità di non rioccupare Gaza, ripetuta da Blinken ai reporter dopo il summit, è un’ulteriore e non indifferente divergenza.

L’APPELLO alla «pausa umanitaria» viene raccolto dal comunicato congiunto dei ministri del G7, senza che emerga alcuna richiesta di un vero e proprio cessate il fuoco, né un riferimento a violazioni della legge umanitaria, che pure significativamente viene citata: «Sottolineiamo – si legge nel comunicato – l’importanza di proteggere i civili in conformità con la legge internazionale, in particolare quella umanitaria». I ministri si sono poi impegnati a stanziare «altri 500 milioni di dollari per il popolo palestinese» e hanno condannato le violenze dei coloni in Cisgiordania.

ALTRETTANTO ha fatto Blinken nella sua conferenza stampa: è necessario «fermare la violenza estremista in West Bank». Per una pace durevole, ha aggiunto, gli Stati uniti sono convinti che non debba esserci «uno spostamento forzato di palestinesi da Gaza – né ora, né dopo la guerra». Oltre a non venire rioccupata, la Striscia «non dovrà essere assediata né posta sotto blocco». È inoltre necessario lavorare sugli «elementi affermativi» di questa «pace». «La voce e le aspirazioni dei palestinesi devono essere messe al centro della governance post-conflitto di Gaza. Questo deve includere un governo a guida palestinese, e Gaza unificata con la Cisgiordania sotto L’Autorità palestinese». Di questo progetto, al centro anche dell’incontro del segretario di Stato con Mahmoud Abbas pochi giorni fa, si dice sostenitore – senza aggiungere spiegazioni su come si pensa di renderlo possibile – anche il ministro degli Esteri britannico James Cleverly, che parla della transizione, «appena possibile», verso una vaga «leadership palestinese amante della pace» come della «soluzione più desiderabile».

DOPO IL SUMMIT, Blinken ha tenuto un incontro bilaterale anche con il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, che martedì, appena atterrato in Giappone, aveva parlato pure lui di pause umanitarie – «ci sembrano ragionevoli» – e aveva affermato che dopo la fine della guerra «dovrà esserci una fase di transizione, ad esempio una presenza tipo quella in Libano dell’Unifil». Ai giornalisti aveva inoltre annunciato che l’Italia è pronta ad «allestire un ospedale da campo: ci sta pensando il ministro Crosetto con il capo di Stato Maggiore della Difesa». E proprio ieri Crosetto ha confermato che dalle nostre coste è in partenza una nave ospedale che verrà stazionata a largo della Striscia di Gaza. «Per curare i feriti» aveva spiegato Tajani, tenendoci a specificare: «Naturalmente non terroristi».
Ieri è tornato a parlare del conflitto anche il Segretario delle Nazioni unite Antonio Guterres: il numero dei civili uccisi, ha detto alla Reuters, indica che c’è qualcosa di «chiaramente sbagliato» nell’operazione militare israeliana.