Il tema dei Big Data è diventato in breve tempo fondamentale in tutto il mondo, dapprima come strumento per contrastare al meglio, così viene detto, la viralità del contagio del coronavirus e nella cosiddetta «fase due» per gestire un periodo di tempo, ancora indeterminato ad oggi, durante il quale i dati potranno aiutare a organizzare la nostra convivenza con l’epidemia.

È chiaro che siamo di fronte a un momento di grande cambiamento, il che non significa per forza, anzi, il miglioramento delle nostre condizioni di vita e dei nostri diritti.

Sulle pagine del manifesto da sempre i Big Data e le attività di Stati e piattaforme sono al centro di spunti, riflessioni e recensioni e mai come oggi l’argomento diventa dirimente per la sinistra, al di là dell’emergenza politica e della dialettica parlamentare.

Questi temi che all’apparenza a molti (anche a sinistra) sembrano eterei e virtuali in realtà hanno ricadute reali piuttosto pesanti, dalle persone che lavorano per alimentare le macchine, fino alla possibilità che la nostra libertà di movimento, ad esempio, possa essere messa in discussione nell’immediato futuro.

Sull’utilizzo che verrà deciso della mole di informazioni che noi stessi creiamo e che dunque dovremmo poter controllare in totale libertà, infatti, si decideranno nuove forme di cittadinanza, di dialettica tra popolazione e potere e per questo influenzeranno la nostra vita futura molto più di quanto potevamo pensare prima della pandemia di Covid-19, nonostante le tante prove – lo scandalo Nsa e tanti altri che hanno coinvolto piattaforme e app – della loro rilevanza nella nostra esistenza.

Per questo abbiamo deciso di affrontare il tema con due inserti: nel primo in uscita domani, venerdì 10 aprile, esamineremo innanzitutto cosa bolle in pentola in Italia, dove il governo sta valutando diverse proposte di app e dovrà presentare un piano tanto per questa fase emergenziale quanto per quella successiva (la fase 2).

Nel resto dell’inserto abbiamo deciso di focalizzarci sulle risposte differenziate di quattro paesi in particolare: l’Islanda, in quanto primo paese che ha scelto di usare un’ app per tracciare gli spostamenti dei cittadini, il Canada che in situazioni di emergenza può fare a meno delle leggi per la privacy e utilizza già i servizi di Google Maps, Israele, dove i sistemi di tracciamento usati per i palestinesi sono stati adottati per l’intera popolazione (scatenando polemiche sulla privacy, mentre in precedenza erano appoggiate dall’opinione pubblica) e infine la Russia che ha scelto un sistema misto.

Nel prossimo inserto proveremo a fare un salto nel futuro che è ormai presente, provando ad analizzare più nello specifico il caso italiano e quelle tendenze mondiale che puntano a creare nuove forme di cittadinanza nella società post Covid-19