È finito in manette ieri a Minsk, capitale della Bielorussia, Pavel Severinez, presidente del comitato organizzatore per la creazione del Partito bielorusso per la democrazia cristiana ma soprattutto uno degli organizzatori delle tre manifestazioni di questo dicembre contro l’integrazione tra Bielorussia e Russia, incoraggiata dal presidente russo Vladimir Putin e benedetta anche dal suo omologo bielorusso Alexander Lukashenko. Proprio ieri presso il tribunale distrettuale di Frunze, alcuni membri della variegata opposizione al regime di Alexader Lukashenko, avrebbero dovuto essere processati per l’organizzazione della prima manifestazione non autorizzata dalla polizia contro l’integrazione, che si era svolta il 7 dicembre. In Bielorussia l’ex capo del partito comunista governa da padre-padrone il paese slavo praticamente dalla sua dichiarazione d’indipendenza dopo il crollo dell’Urss nel 1991.

La struttura economica del paese non è molto cambiata negli ultimi 30 anni e la stragrande maggioranza delle imprese sono rimaste di proprietà statale o controllate da membri del governo. E anche i metodi per costruire consenso sono rimasti più o meno quelli cari all’autoritarismo e al paternalismo sovietico: “Sasha” come viene chiamato dai suoi sostenitori Lukashenko, ha sempre vinto plebiscitariamente tutte le elezioni presidenziali ma in più di un’occasione i candidati a lui avversi sono stati oggetto di persecuzioni e botte, fino a essere costretti a ritirarsi, mentre la campagne elettorali dei suoi oppositori si sono spesso concluse con arresti e pestaggi. La Bielorussia è l’unico paese in Europa in cui vige ancora la pena di morte e le organizzazioni sindacali indipendenti operano in stato di semi-clandestinità mentre la Ue ha ridotto al minimo la propria presenza diplomatica a Minsk.

Il prossimo anno, nel 2020, si dovrebbero tenere ci dovrebbe essere l’ennesima tornata di elezioni presidenziali il cui esito appare scontato: la nuova incoronazione di Lukashenko che dalla sua può contare prestazioni economiche al di sopra della media dei paesi ex-comunisti anche grazie ai prezzi stracciati di petrolio e gas che la Russia da sempre gli garantisce. Le elezioni parlamentari tenutesi il 17 novembre scorso sono la cartina tornasole dello stato della democrazia del paese: nessun candidato dell’opposizione è riuscito ad essere eletto e la maggioranza dei deputati sono degli ”indipendenti” legati al presidente o membri dal partito comunista, da sempre fedele alleato di Lukashenko.

L’opposizione, che va dai cristiani democratici agli eurocomunisti di “Un mondo giusto” ora si prepara a tornare in piazza domenica prossima. Si teme che l’integrazione economica, doganale e fiscale tra i due paesi che entrerà in vigore dal 1 gennaio 2021 sia il primo passo per una completa “annessione” della Bielorussia al suo potente vicino che allontanerebbe ancora di più come è stato denunciato nelle manifestazioni di queste settimane il paese “dai valori europei”.