Sta finendo com’era cominciata, con una nazione che versa lacrime sulle vittime di un massacro e un leader offeso che promette vendetta. «Non dimenticheremo, non perdoneremo, vi daremo la caccia, ve la faremo pagare». Davanti alle telecamere il presidente americano Joe Biden appare provato, le parole d’attacco un montaggio sul viso di un uomo colpito a fondo.

Vent’anni fa, sulle macerie delle Torri gemelle, in modo molto simile George W. Bush infilava l’elmetto a se stesso, al suo paese e all’intero occidente. Oggi un Biden in disarmo non riesce più a toglierselo: «Risponderemo con forza e precisione, nelle circostanze che sceglieremo, nel luogo che sceglieremo, nel momento che sceglieremo».

Non molto diverso da Bush tre giorni dopo le Torri: «Questo scontro è iniziato in tempi e modi scelti da altri, ma finirà nel modo e nell’ora che sceglieremo noi».

Per arrivare a quel luogo e a quell’ora sono serviti vent’anni, miliardi di dollari, decine di migliaia di vite. Le ultime 170 sono finite nella fogna che costeggia il solo aeroporto al mondo dedicato a un leader vivente, l’ex presidente Karzai. E non è finita.

«Un altro attacco a Kabul appare probabile»: la Cnn rivela che il team della sicurezza nazionale ha avvisato la Casa bianca, il massacro dell’aeroporto potrebbe non essere l’unico, mentre l’evacuazione «raggiunge la sua fase più pericolosa».

Altri problemi drammatici per Joe Biden, e non importa che il vincitore delle scorse elezioni stia giocando la mano velenosa che gli è stata servita dal precedessore Donald Trump.

La ritirata da Kabul ha assunto la sua portata catastrofica il giorno in cui i talebani hanno chiesto di escludere ogni altro gruppo afghano dalla trattativa in corso a Doha, mesi fa, e il mediatore americano Khalilzad ha accettato. Oggi Biden raccoglie quei frutti, sotto una pioggia di critiche.

«Per Biden arriverà il giorno della resa dei conti»: il leader repubblicano alla Camera Kevin McCarthy lascia aperta la porta dell’impeachment e 20 deputati repubblicani chiedono le dimissioni o la messa in stato d’accusa del presidente. Che nessun democratico difende: i leader del suo stesso partito esprimono lutto e sdegno per l’attentato ma non solidarietà al proprio leader.

E la sinistra-sinistra, da Bernie Sanders alle combattive parlamentari di «The Squad», proprio non parla: hanno passato anni a battersi per il ritiro dall’Afghanistan, non è il momento di attaccare l’uomo che lo sta eseguendo.

Dalla presa di Kabul, Joe Biden è sepolto nella Situation room, cinquecento metri quadri super-tecnologici nel sotterraneo della West wing della Casa bianca. E quando ne esce è per conferenze stampa diventate molto frequenti – proprio lui, che le aveva rarefatte al massimo.

È con i media che Biden ha la crisi più profonda. Imbarazzo, disastro, tradimento: il vocabolario è sempre più greve. In tutto l’anno scorso Cbs, Abc e Nbc, i tre maggiori network americani, hanno dedicato all’Afghanistan solo 5 minuti di news serali (cronometrati dall’autorevole Tyndall Report). Cinque minuti sui circa 14mila minuti di tg in prima serata.

Ma da Ferragosto l’Afghanistan è tornato al centro del mondo e tv e giornali si disputano ben pagati generali e analisti che attaccano il governo – gli stessi generali e analisti che hanno mentito senza pudore per vent’anni sui «progressi continui» della guerra – e i reporter alle conferenze stampa esplodono editoriali in forma di domande («Perché continua a fidarsi dei talebani, mr president?»).

Dopo lunghi mesi spesi a difendere il presidente da tutto, persino Cnn e New York Times inseriscono sempre più spesso titoli problematici.

Il futuro? Il capo della Cia Burns era a Kabul il 24 agosto e neanche due giorni dopo la strada per l’aeroporto è saltata in aria, sbriciolando il pio desiderio di una fuga che insanguinasse solo l’orgoglio di una superpotenza in crisi.

E così la Cia resterà in Afghanistan per decenni: la bomba all’aeroporto ha congelato la riconversione dell’agenzia di spionaggio, diventata un gruppo paramilitare dedito alla caccia all’uomo e, dopo l’assassinio di Bin Laden, lentamente ritornata al tradizionale ruolo di strumento nella competizione tra grandi potenze.

Guiderà i droni e i missili che Biden pensa di inviare contro gli uomini dell’Isis-K («Il presidente li vuole morti», ha detto la portavoce della Casa bianca Jen Psaki). Ma proprio i droni sul bersaglio sbagliato hanno regalato consensi decisivi ai talebani nei vent’anni scorsi…

La scommessa di Joe Biden è che gli americani avrebbero tollerato un breve periodo di caos in cambio di un lungo periodo di relativa pace.

Centomila persone evacuate in meno di due settimane: poteva funzionare, se non ci fossero state vittime americane. I corpi di 13 marines hanno smontato un meccanismo che non era granché neanche all’inizio.