Tensione tra alleati Nato: la Germania ritira le proprie truppe dalla base di Incirlik in Turchia. Il ministro della difesa Ursula von der Leyen ne ha dato comunicazione a Fikri Isik, sua controparte turca.

La decisione di Berlino giunge dopo che a una delegazione di parlamentari tedeschi è stato negato, il 16 maggio, il permesso per visitare i propri soldati.

INCIRLIK È LA BASE nel sudest anatolico dove stazionano 280 truppe tedesche e da cui partono gli aerei Tornado in missioni di sorveglianza e rifornimento per condurre operazioni di sostegno alla lotta allo Stato Islamico. La Germania avrebbe già individuato nella base di Azraq, in Giordania, l’alternativa valida ad Incirlik.

Alla base della decisione non soltanto lo scontro sulla risoluzione sul genocidio armeno passata l’anno scorso dal parlamento tedesco.

Oggi pesa soprattutto il rifiuto della Germania di cooperare con Ankara sulle purghe che Erdogan sta portando avanti contro la rete dell’ex alleato Gülen, accusato di essere l’artefice del tentato golpe del luglio 2016.

Le richieste della Turchia per ridare accesso a Incirlik erano il disconoscimento del governo tedesco della risoluzione sulla questione armena, l’impegno da parte delle autorità tedesche contro l’autonomismo curdo e il Pkk e l’estradizione di coloro che Ankara ritiene collegati al golpe, ai quali Berlino ha concesso asilo.

MA LA CANCELLIERA MERKEL, incassato il sostegno parlamentare, ha deciso che la misura era colma e dato il via libera al trasferimento delle truppe: «Andremo in Giordania».

Ennesimo strappo dunque tra i due paesi alleati Nato, i cui legami sono profondi almeno quanto i recenti dissidi. La Turchia ha subito negli ultimi anni un vistoso calo della propria reputazione tra i membri Nato.

Paradossalmente, il coinvolgimento dell’alleanza nello scenario siriano, finora tanto auspicato da Ankara, sta avvenendo in tempi e modi che frustreranno ulteriormente il governo di Erdogan e, soprattutto, non a discapito dell’alleanza tra Stati uniti e Ypg kurdi.

Se le numerose richieste di estradizione a paesi alleati restano inascoltate, il governo turco continua in patria la sua purga verso nemici interni e oppositori.

Stavolta in manette è finito il capo di Amnesty International, Taner Kilic, insieme ad altri 18 avvocati. Il suo domicilio e l’ufficio sono stati perquisiti ed è ora in stato di detenzione a Smirne.
Per tutti l’accusa è di far parte della rete di Gülen.

La prova madre sarebbe nell’uso di un’applicazione per smartphone chiamata Bylock con cui, secondo le autorità turche, i gulenisti si sarebbero organizzati.

IL SEGRETARIO GENERALE di Amnesty, Salil Shetty, ha dichiarato: «Che le purghe turche abbiano ora coinvolto anche il presidente di Amnesty in Turchia è l’ennesima prova di quanto tutto ciò sia arbitrario e sia andato ben oltre i supposti limiti». Kilic ha lavorato per Amnesty dal 2002 e è presidente per la Turchia dal 2014.

Ma un altro scandalo internazionale rischia di coinvolgere profondamente la Turchia. La decisione di Bahrain, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Yemen di isolare diplomaticamente e economicamente il Qatar ha colto alla sprovvista Ankara, che con il paese del Golfo ha stretto da anni relazioni importanti.

Dal 2015 Ankara ha una base militare operativa in Qatar e, dopo la reazione iniziale di invito al dialogo, ieri il parlamento ha approvato l’invio di ulteriori truppe in Qatar e un piano di sostegno economico per il paese che include l’invio di cibo e acqua.

Gli investimenti qatarioti in Turchia ammontano a circa 14 miliardi di dollari, mentre l’export turco verso il Qatar vale 400 milioni di dollari annui. Il Qatar è inoltre impegnato in un fondo di investimento condiviso che ha condotto il paese arabo ad acquisire parzialmente importanti società turche. come il gigante del tè Caykur e il network satellitare Digiturk.

Sui soldi qatarioti la Turchia farebbe affidamento anche per un piano di salvataggio della compagnia aerea di bandiera Turkish Airlines, che si ritiene stia attraversando un periodo difficile dopo anni di colossali investimenti ed il crollo del settore turistico nazionale.

IL PRESIDENTE ERDOGAN avrebbe rigettato le accuse mosse al Qatar: «Non ritengo che il Qatar finanzi il terrorismo. Qui si sta giocando un altra partita».

Ad Ankara si respira infatti un’atmosfera di cospirazione e paranoia. Il paese anatolico sarebbe in fila per essere colpito, proprio dopo l’alleato nel Golfo, come accaduto al governo di Morsi, destituito in Egitto.

Uno schema, secondo i turchi, ordito da Usa e Israele per colpire i Fratelli musulmani e che ad Ankara collegano al golpe del 15 luglio 2016, in cui vedono lo zampino statunitense.