Non è la prima volta che Bergoglio parla “papale papale” e dice quello che pensa, con espressioni piuttosto forti, tanto più se si tratta di incontri che ritiene riservati. È accaduto anche lunedì della scorsa settimana, nel colloquio a porte chiuse con i circa 250 vescovi italiani, riuniti a Roma per l’assemblea generale della Cei presieduta dal cardinal Zuppi. Si stava parlando dei seminari per gli aspiranti preti, su cui i vescovi si stanno confrontando da diversi mesi, in vista dell’approvazione del nuovo regolamento (Ratio formationis sacerdotalis). E quando è stato chiesto al Papa come comportarsi nei confronti dei candidati omosessuali, Bergoglio ha ribadito il proprio no all’ammissione – peraltro dichiarato già in altre occasioni –, chiosando: c’è già troppa «frociaggine» in certi seminari.

L’EPISODIO È STATO raccontato dal sito Dagospia nella serata di domenica, e ieri è stato rilanciato dal sito web del quotidiano la Repubblica, dopo averne verificato la fondatezza «da più fonti concordanti». Ci sono pochi dubbi sul fatto che a far trapelare il dialogo autentico ma decisamente triviale fra il Papa e i vescovi siano stati ambienti ecclesiastici di destra, ben felici di arruolare Bergoglio per sostenere le proprie posizioni. Una conferma indiretta arriva dall’esultanza dell’ex senatore leghista Simone Pillon, neocatecumenale, ultraconservatore, paladino della famiglia tradizionale e fra gli organizzatori dei Family day: «Standing ovation per il Papa. Era ora. Absit iniuria verbis (=non ci sia offesa nelle parole). Giusto pochi giorni prima del Pride. E adesso tutti a farsi benedire».

DA SANTA SEDE e Cei nessuna reazione e nessuna smentita. Ma la partita che si gioca è tutta interna alla Chiesa cattolica e riguarda appunto i seminari. La norma del dicastero vaticano per il clero approvata da Ratzinger nel 2005 e confermata da Bergoglio nel 2016 prevede che «la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay». I vescovi italiani, nella loro assemblea autunnale, avevano paventato la possibilità allentare le maglie, forse sentendosi incoraggiati dalle apparenti aperture di Papa Francesco («chi sono io per giudicare un gay?»), che ora invece conferma con durezza il proprio no.

«BERGOGLIO RIBADISCE quello che già aveva stabilito Ratzinger, ovvero che le persone con una tendenza omosessuale “stabile” non potessero essere ammessi al sacerdozio ministeriale e che quindi i formatori dei seminari avrebbero dovuto prestare particolare attenzione e nel caso allontanarle», spiega al manifesto Marco Marzano, professore di sociologia all’università Bergamo, autore del volume La casta dei casti (Bompiani), che affronta anche il nodo dei seminari. «Ma si tratta di affermazioni totalmente fuori dalla realtà. Se venissero prese alla lettera, i seminari si svuoterebbero, perché si tratta di ambienti molto ospitali per gli omosessuali, pienamente gay friendly potremmo dire. A condizione però che gli stessi seminaristi non facciano dichiarazioni esplicite della propria omosessualità, non la ostentino, non diano scandalo, ma la vivano nel nascondimento: nelle mie ricerche sul campo non ho mai incontrato un direttore che abbia allontanato un seminarista omosessuale, gli consigliava solo di mantenere un basso profilo. Tutto questo mi pare la conferma della grande ipocrisia di un’istituzione ecclesiastica contemporaneamente omofoba ma che accoglie e recluta senza alcun problema omosessuali come propri funzionari: l’omofobia si manifesta sul piano della negazione dei diritti, la vicinanza ai gay nella prassi silenziosa».