Il peggio, per il governo, sembra evitato. I rappresentanti di categoria dei gestori di pompe di benzina escono da palazzo Chigi, dopo l’incontro con il sottosegretario Mantovano e i ministri Giorgetti e Urso, con lo sciopero non revocato ma «congelato». Decideranno quando il testo del dl Trasparenza sarà definitivo.

Il tavolo tecnico che se ne occuperà è convocato per martedì prossimo ma se sulla carta la serrata delle pompe per 48 ore è ancora incombente nella pratica è quasi scongiurata. I toni dei gestori, a vertice terminato, sono più che rilassati. In una nota congiunta le associazioni «apprezzano il chiarimento che ripristina una verità inequivocabile: i gestori non hanno alcuna responsabilità per l’aumento dei prezzi né per eventuali speculazioni. Per quel che riguarda i benzinai le polemiche finiscono qui».

SEMBRA UN DISGELO propedeutico alla ricerca di un’intesa «sui problemi della categoria». In realtà è già un accordo di sostanza perché la protesta era stata innescata solo dal goffo tentativo del governo di scaricare la responsabilità dei rincari sui soliti «speculatori».

In realtà segnalare nelle stazioni di servizio i prezzi medi dei carburanti non serve quasi a niente e non aggiunge nulla ai mezzi di cui il governo già dispone per controllare eventuali speculazioni. La «necessità e urgenza» del decreto era solo mediatica ma la mossa è stata tanto sgangherata da rivelarsi un boomerang.

Lo sciopero sarebbe stato per Chigi un guaio grosso. I benzinai e in realtà l’intera filiera del trasporto sono ormai tradizionalmente parte integrante della base sociale ed elettorale della destra.

La serrata di 48 ore, in un clima già surriscaldato dai rincari, sarebbe stata quasi una chiamata alle armi della base contro il “suo” governo. Capita poi che la fascia di elettorato della destra che inizia a essere delusa dal governo Meloni sia anche più vasta, come sanno bene i direttori dei giornali d’area che hanno modo di tastarne il polso contando le numerosissime lettere di protesta che piovono nelle redazioni.

I commercianti non hanno apprezzato la retromarcia sul Pos. I pensionati del ceto medio non hanno gradito la mancata rivalutazione delle pensioni. L’aumento della benzina non piace a nessuno, indipendentemente dal colore politico, ma agli operatori dei trasporti spiace più che agli altri. Non basterà a rabbonirli la pezza che il governo prova a mettere prorogando per tutto l’anno i bonus benzina sino a 200 euro non contati nello stipendio per i lavoratori dipendenti.

AVER IBERNATO E QUASI certamente scongiurato la serrata dei benzinai è dunque una vera boccata d’ossigeno per Meloni e i suoi ministri, che però non scalfisce il fattaccio principale: l’aumento dei carburanti.

Ieri mattina Urso ha incontrato anche le associazioni dei consumatori, che hanno martellato sulla necessità di tenere i prezzi sotto controllo. Propongono le accise mobili, modulate cioè a seconda dell’andamento di quotazioni e prezzi, ma anche la riduzione dell’aliquota Iva. Sono però strade percorribili domani, con una eventuale riforma complessiva, mentre il problema c’è oggi.

La divisione nella maggioranza, in merito, è più profonda di quanto i tre partiti non facciano vedere ma la cosa peggiore è che quella divisione rischia di irrompere nei confini del governo stesso, come dimostra la palese diversità tra i toni adoperati dalla premier e quelli del ministro Giorgetti.

IERI L’ALTER EGO della presidente, il sottosegretario di fiducia Fazzolari, ha confermato che il governo non considera la possibilità di tornare al taglio delle accise. «Nell’immediato non ci sarà una replica del provvedimento Draghi. Nel decreto rispettiamo quanto scritto nel programma di FdI: si riducono le accise solo se c’è un aumento del prezzo del carburante e dunque un maggior gettito fiscale da utilizzare». Insomma già nel programma, stando al sottosegretario, FdI prevedeva di alzare il prezzo della benzina per poi abbassarlo grazie all’aumento Iva e arrivare così a una specie di gioco a somma zero.

IL GIOCO DI PAROLE e di cifre mostra essenzialmente che il governo dalla grana accise ancora non sa come venire fuori. Incrocia le dita pregando che gli aumenti non sforino la soglia dell’insostenibilità per poi, tra qualche mese, intervenire salvando la faccia grazie alla partita di giro dell’extragettito.

Ma probabilmente la stessa premier sa che, se si arrivasse a prezzi da capogiro, non ci sarebbe alternativa al taglio immediato ventilato da Giorgetti.