«Quando si parla di chiusura degli spazi politici, si intende esattamente questo: mettere sotto silenzio le ong che lavorano sui diritti umani, la società civile, il movimento di base per i diritti umani».

In Egitto l’impatto della legge sulle ong è devastante. Lo si coglie subito dalle parole di un’attivista, impegnata da anni nella tutela dei diritti umani. Ci chiede l’anonimato, la paura di rappresaglie è tanta.

LA NUOVA LEGGE è stata firmata dal presidente al-Sisi il 29 maggio, a sei mesi dall’approvazione da parte della Camera dei rappresentanti. Investirà le 46mila organizzazioni attive in Egitto, locali e internazionali, che finiranno sotto il diretto controllo del governo.

Nella pratica, la legge annullerà la spinta politica della società civile, espressione della rivoluzione del gennaio 2011 le cui parole d’ordine si sono tradotte nella nascita di migliaia di ong che da sette anni sono impegnate in prima linea nella tutela dei diritti umani, politici, sociali e economici.

«La legge introduce severe punizioni per le ong che non lavoreranno secondo i nuovi criteri – aggiunge l’attivista – Proibisce ogni attività di tutela contro gli abusi dello Stato, limitando tale attività a progetti di ‘sviluppo’, un concetto non meglio definito. Il governo vuole che le ong facciano il suo lavoro, ovvero offrano i servizi che lo Stato non dà senza però che si parli alla gente dei diritti di cui gode».

LE 46MILA ONG EGIZIANE restano in attesa: i regolamenti esecutivi non sono stati ancora pubblicati, forse saranno resi noti tra un mese, un mese e mezzo. Di certo modificheranno alla radice le attuali modalità di intervento: «Finora il procedimento era questo: l’ong scriveva la sua proposta, la presentava al ministero della solidarietà chiamato ad approvarla o rigettarla e dunque ad erogare o meno i fondi. Con la nuova legge, la proposta va presentata a un comitato formato da esponenti dell’intelligence interna, dei servizi segreti, del ministero della solidarietà, dell’unità anti-terrorismo, dell’unità anti-corruzione. Un processo lungo che coinvolge soggetti che su questo argomento non hanno alcun mandato. D’ora in poi nemmeno le associazioni di beneficenza potranno raccogliere fondi fino a quando questo comitato non si dirà d’accordo con le ragioni della raccolta. Mesi di lavoro e procedure lunghissime in un paese dove la miseria sta avanzando veloce e l’80% della popolazione è povera. Sarà il governo a raccogliere donazioni per cibo, case, ospedali?».

L’OBIETTIVO È POLITICO. È lo stesso che ha spinto il governo golpista a chiudere in due settimane 64 agenzie di stampa, a reprimere un anno fa come in questi giorni le proteste contro la cessione delle isole Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita (riprese questa settimana insieme a decine di arresti preventivi e non), a introdurre il cosiddetto Caso 173, ovvero il congelamento dei fondi alle ong e ai suoi rappresentanti che ricevono finanziamenti dall’estero (normale forma di sussistenza delle ong locali in tutto il mondo).

Un fascicolo enorme, quest’ultimo, che ha investito organizzazioni storiche: una delle ultime a essere colpita è Cewla, Center for Egyptian Women Legal Assistance, nata nel 1997 e di cui è partner l’italiana Cospe (che fino al 19 giugno lancia la campagna Vite Preziose per sostenere interventi contro la violenza di genere in Egitto), che lavora contro le discriminazioni di genere e le violenze sulle donne.

La sua fondatrice, Azza Soliman, si è vista congelare il conto corrente (insieme a quello di Cewla) nel dicembre 2016 e ritirare il passaporto.

«CON LA NUOVA LEGGE se un progetto conterrà, ad esempio, la parola empowerment femminile – continua l’attivista – verrà bocciato. Gli effetti saranno devastanti. Prendiamo il caso delle migliaia di ong che lavorano con le donne egiziane: chi si occuperà di fornire servizi e generare consapevolezza in un periodo in cui le violenze sulle donne sono in costante crescita? La violenza di genere è strutturale, in parte dovuta al livello di frustrazione e alle difficoltà economiche della popolazione. La gente dirige la propria rabbia verso i soggetti più deboli e in una società patriarcale come quella egiziana i soggetti più deboli sono le donne: negli ultimi due anni le violenze sono aumentate di nuovo rispetto al periodo subito successivo alla rivoluzione del gennaio 2011, quando c’era la speranza di un cambiamento e la situazione economica era più stabile».

Ma ad un regime che introduce ogni giorno nuovi bavagli a società civile e stampa sfugge un elemento centrale.

«PENSANO che silenziando giornali e ong la gente avrà meno informazioni e sarà più controllabile. Ma il popolo vede da solo qual è la situazione, vede che i propri vicini vengono rapiti e accusati di crimini non commessi, vede la povertà e la violenza. Non ha certo bisogno che glielo dica una ong».