A Bashundara, nell’immenso spazio espositivo dell’International Convention City, rappresentanti del governo e uomini d’affari in giacca e cravatta affollano la sedicesima edizione del DTG, la più importante fiera espositiva di macchinari tessili: 1.600 stand e 1.200 espositori da 37 Paesi. A pochi chilometri di distanza, nel quartiere di Shewrapara, così come più a nord nella «cintura industriale» di Mirpur, Savar, Ashulia, migliaia e migliaia di lavoratori e lavoratrici dell’industria tessile bloccano le strade, sandali ai piedi, in segno di protesta.

SIAMO A DACCA, capitale congestionata del Bangladesh, un fazzoletto di terra abitato da 160 milioni di abitanti che si affaccia sul Golfo del Bengala. Almeno 4 milioni lavorano nell’industria tessile, la seconda per volume a livello globale dopo quella cinese: 26 miliardi di euro ogni anno, l’80% del commercio estero del Bangladesh. Se il prodotto interno lordo del Paese cresce a un ritmo del 7.8% annuo è anche grazie a questi lavoratori. Che producono e confezionano i capi d’abbigliamento a basso costo delle grandi catene internazionali, H&M, Walmart, Tesco, Aldi tra le altre, ma che di questa ricchezza non beneficiano.

PER CINQUE GIORNI, da domenica 6 gennaio a venerdì 10, una parte di questi lavoratori hanno bloccato strade e piazze della capitale e delle cittadine a nord di Dacca. I numeri non sono chiari, ma sommando i vari presidi si tratta di decine di migliaia di persone, centinaia le aziende chiuse. I manifestanti chiedono una paga più equa e condizioni di lavoro migliori.

 

 

Alcune proteste c’erano state già nei giorni precedenti le importanti elezioni politiche del 30 dicembre, ma erano state spazzate via dalla tensione politica tra l’Awami league, il partito guidato dalla prima ministro in carica, Sheikh Hasina, contro il Fronte nazionale unito, il Jatiya Oikya Front, che raccoglie una ventina di partiti intorno al Bangladesh Nationalist Party, il principale partito di opposizione, che nel gennaio 2014 aveva boicottato le urne. Ora i giochi elettorali sono chiusi: l’Awami League si è aggiudicata 288 su 300 seggi, Sheikh Hasina il terzo mandato consecutivo, l’opposizione e i pochi osservatori internazionali gridano ai brogli denunciando intimidazioni, arresti arbitrari e un clima di paura. E le proteste dei lavoratori sono riprese. Vengono affrontate con metodi consueti, qui: la repressione.

LA POLIZIA ha usato le maniere forti. Bastoni, gas lacrimogeni, proiettili di gomma. Decine e decine i feriti. E un morto: Sumon Miah, di 22 anni, ucciso martedì durante una manifestazione a Savar. Mercoledì alcuni sindacati – il Garment Sramik Odhilkar Andolon (Gsao) e il Garment Sramik Trade Union Kendra (Gstuk) – hanno organizzato dei sit-in chiedendo che sia fatta luce sulla morte del lavoratore, di cui accusano la polizia. Mentre altri lavoratori, con i loro blocchi stradali, ribadivano la richiesta iniziale: paghe più eque.

I DISSIDI nascono dall’applicazione dai primi di dicembre delle nuove indicazioni governative, decise a settembre dall’apposita Commissione che si riunisce ogni 5 anni, sul salario minimo mensile, portato a circa 85 euro. Per alcuni lavoratori – una minoranza denunciano i sindacati – si tratta di un aumento reale, per altri – soprattutto quelli con maggiore anzianità professionale – del contrario: meno soldi in busta paga. E un costo orario degli straordinari che diminuisce. Centinaia e centinaia, inoltre, i lavoratori ingiustamente licenziati perché hanno rivendicato i loro diritti. Le disparità contributive sono state riconosciute anche dalla Commissione tripartita – governo, aziende e sindacati – istituita mercoledì in fretta e furia dal governo per sanare il conflitto. «Stiamo lavorando seriamente per ridurre le differenze salariali per alcune categorie di lavoratori», ha dichiarato conciliante Afroza Khan, del ministero del Lavoro. La soluzione, dicono, è solo questione di giorni. E mentre il ministro dei Trasporti, Obaidul Quader, ordina di rimuovere i presidi entro una settimana, dai sindacati fanno sapere che, senza rassicurazioni serie, i lavoratori torneranno a manifestare.

A BUSHANDARA, invece, si chiude oggi la più importante fiera di macchinari tessili del Bangladesh. 40 Quarantamila i visitatori totali. Tanti, ma meno dei lavoratori che hanno scioperato.

 

9 gennaio 2019, una strada di Dacca bloccata dalla protesta delle lavoratrici tessili (Afp)