Arrivare in Bakur, il Kurdistan turco, da Roma, Amburgo o addirittura dall’America latina non è impresa facile. Nonostante ciò un’armata di 110 persone ha dato disponibilità alla chiamata pro-democrazia e trasparenza del Partito democratico dei popoli (Hdp), gruppo politico di ideali democratici in un panorama turco quasi completamente indirizzato verso la destra più estrema.

In questi anni molti esponenti dell’Hdp sono stati arrestati, dopo il tentato golpe del 2016, tra cui il co-presidente Sehalattin Demirtas, una repressione andata avanti anche negli ultimi mesi fino a poche ore prima l’apertura dei seggi di queste amministrative. Dei 110 osservatori internazionali, 14 non sono arrivati a destinazione, bloccati negli aeroporti o lungo i percorsi verso i seggi nei numerosi checkpoint dalla polizia in assetto antisommossa.

Tra i fermati anche due italiane arrivate a Diyarbakir e subito portate nella stazione di polizia per accertamenti e interrogatori. Fortunatamente per le due connazionali molta paura ma niente che potesse arbitrariamente trattenerle: sono state rilasciate qualche ora dopo.

La parte curda della Turchia appare molto militarizzata, quasi blindata. Una volta a Diyarbakir, città-cuore del Bakur, la prima sosta è obbligatoria al quartier generale dell’Hdp: qui esponenti di spicco del partito accolgono chi da altri paesi supporta il percorso democratico verso una Turchia più aperta ed equa mentre continuano gli arresti e le adesioni allo sciopero della fame che circa 7mila tra detenuti e non stanno attuando come forma di protesta contro l’isolamento del leader del Pkk Abdullah Öcalan.

Dopo un intervento politico di Ayse Gokkan, rappresentante del Movimento delle donne libere del Kurdistan che si batte contro la violenza di genere e la libertà dal patriarcato di tutte le donne del mondo, è la volta di Feleknas Uca, giovane donna che sprizza orgoglio e coraggio e ragguaglia i presenti sul quadro repressivo attuale: «Noi tutti siamo qui per scardinare l’isolamento che subiamo a tutti i livelli. Con queste elezioni, benché amministrative, il paese verrà ridisegnato e le indicazioni del dittatore Erdogan sono molto precise: o con loro o contro di loro. Avete accolto la nostra richiesta di supporto per proteggere la democrazia; anche se non riuscirete ad accedere ai seggi la vostra sola presenza sarà di incoraggiamento ai votanti che non si sentiranno abbandonati a una lotta senza apparente soluzione».

Nel quartier generale dell’Hdp, al centro Dersim Dap, la più giovane in sciopero della fame. a sinistra Tayyip Tamal, a destra Murat Saritas (Foto: Laura Sestini)

 

Conclusi i meeting politici di Diyarbakir e le indicazioni sul comportamento da tenere ai seggi elettorali, ci permettono un brevissimo incontro con degli aderenti locali dell’Hdp in sciopero della fame da 26 giorni. Tra loro Dersim Dap, 23 anni, la più giovane scioperante in assoluto.

A Siirt, dopo 200 km di strade talvolta sterrate o decisamente dissestate, la delegazione degli osservatori viene smistata a gruppi di sei individui tra la città e zone rurali. Le visite ai seggi, blindati illegalmente da molti agenti speciali in borghese, gli stessi probabilmente che occupano tutte le stanze di un hotel a 11 piani appena fuori città, non sono permesse. Nonostante per legge la polizia non sia ammessa nelle scuole destinate ai seggi elettorali, di fatto li monopolizza ovunque e gli osservatori vengono spesso schedati seduta stante e anche arrestati.

Durante il percorso verso Siirt il furgoncino su cui viaggiamo viene bloccato a un checkpoint: con molti sorrisi e forzata calma si riesce a passare. Durerà poco più di un quarto d’ora: appena ripartiti due auto della polizia non perderanno mai le nostre tracce. Anche l’hotel è blindato, con due agenti speciali in borghese ma muniti di Ak-47 mentre sono comodamente seduti nelle poltrone della hall. In opposto l’accoglienza da parte degli attivisti e esponenti dell’Hdp che fungono da interpreti e autisti è di una gentilezza ossequiosa. Tutto è offerto, profuso da forte gratitudine, spesso di tasca propria dagli iscritti al partito.

Nelle sedi vicine alla montagna ad accompagnarci sono giovani e anziani e talvolta donne, soprattutto giovani, spesso velate. Alcuni di loro spiegano che votano l’Hdp perché non hanno altra scelta ma pensano che sia troppo moderato. Sono abituati alla guerriglia e citano spesso il Pkk. In ogni famiglia c’è almeno un caduto, un partigiano da piangere, talvolta disperso di cui non si sa più nulla.

Tornati alla base la maggioranza delle reti televisive passa ininterrottamente i risultati dello spoglio non ancora definitivo. Nel silenzio della notte di Diyarbakir, dove l’Hdp è uscito vittorioso, si sentono volare degli elicotteri e ci si chiede quale sia il loro obiettivo.

Nessun festeggiamento ufficiale, la città dorme apparentemente tranquilla. Nel frattempo a Siirt la polizia ha circondato il palazzo dove ha sede il comitato locale dell’Hdp, anche qui vincente sulla coalizione di Erdogan. Una nuova fase di lotta è appena iniziata.

*Osservatrice internazionale