Come le scatole cinesi, la vicenda della «donazione» di camici da parte di Dama spa a Regione Lombardia scoperchia un’altra questione che investe (ancora) il presidente leghista Attilio Fontana.

Parliamo dell’esistenza del conto in Svizzera sul quale erano stati trasferiti gli oltre 5 milioni di euro dai quali il governatore avrebbe attinto per risarcire il cognato Andrea Dini per la mancata vendita ad Aria – centrale acquisti del Pirellone – dei 75 mila camici. Ma è necessario procedere con ordine: nel 2015, alla morte della madre, Fontana eredità la cifra che, come ha spiegato, «era frutto di una vita di lavoro».

LA CONSISTENTE SOMMA, vista da più parti con sospetto, era stata gestita fino a quel momento da due trust con sede alle Bahamas – noto paradiso fiscale – per poi essere riportata non in Italia ma in Svizzera, beneficiando dello scudo fiscale.

Solo due anni più tardi, però, l’allora sindaco di Varese viene multato dall’Anac per aver omesso dallo stato patrimoniale, nel 2016, i 5 milioni scudati l’anno precedente.

La multa non è poi così salata, 1.000 euro, ma mette a tacere in anticipo le possibili accuse a Fontana, già lanciato nella corsa alla Presidenza della Regione, di aver violato le norme per la trasparenza. Nessuno, fino alla scoperta del bonifico «risarcitorio», si era occupato del conto che oggi diventa invece oggetto di indagine per la procura di Milano.

Il presidente lombardo non ha fornito ulteriori dettagli durante la sua arringa fiume di lunedì al Pirellone, eludendo le richieste delle opposizioni. Compresa quella di ricostruire i fatti e spiegare come mai, dopo il tentativo fallito di bonifico aveva ancora dichiarato di non essere a conoscenza della fornitura.

MA C’È DELL’ALTRO: da quanto emerge dalle indagini sarebbe stato l’ufficio legale di Aria, allora guidata da Filippo Bongiovanni – anche lui indagato per frode in pubblica fornitura – a non accettare la donazione.

Dettaglio curioso visto che in aula Fontana ha sostenuto di aver «chiesto a mio cognato di rinunciare al pagamento per evitare polemiche e strumentalizzazioni»: rinuncia che, però, non fu mai registrata.

Secondo i codici, infatti, è necessario un atto notarile, soprattutto in presenza di una cifra di «non modico valore». È chiaro, dunque, che la mail inviata da Dini il 20 maggio ad Aria per declinare la vendita non fosse sufficiente a revocare il contratto. E qui che si affaccia ancora l’ipotesi del conflitto d’interessi: il rigetto del regalo sarebbe stato motivato proprio dall’eventualità di una contestazione legale causata dal legame familiare di Fontana con l’azienda tessile in questione.

OGNI NUOVO RISVOLTO giudiziario è una freccia all’arco delle opposizioni in Regione determinate a mettere Fontana di fronte alle proprie responsabilità nella gestione dell’emergenza. «Potremmo anche stare a braccia conserte perché a destabilizzare la Lombardia ci pensa il suo governatore», dicono gli agguerriti 5 stelle al Pirellone, mentre i vertici regionali del Pd, dopo il tentennamento iniziale sulle dimissioni, chiedono il passo indietro: «Fontana si è dimostrato inadeguato, per questo se ne deve andare – scrive in un post su Facebook Vinicio Peluffo, segretario dem lombardo – Dobbiamo mandare a casa questa giunta e il sistema Lega», aggiunge sottolineando poi l’importanza della revisione della riforma sanitaria sperimentale a firma Maroni approvata nel 2015 e che nel mese di agosto avrebbe dovuto superare il vaglio del ministero della Salute.

Esame rimandato a fine anno, così come è stata posticipata, pare a settembre, la presentazione della mozione di sfiducia a Fontana a cui le opposizioni lavorano da giorni.