Almeno 125 feriti: un centinaio di manifestanti e 25 agenti di polizia che hanno lanciato gas lacrimogeni e granate stordenti per disperdere le migliaia di sostenitori del leader sciita nazionalista Moqtada al Sadr che ieri per la seconda volta 72 ore hanno assaltato il parlamento. I dimostranti hanno scavalcato le barriere che circondano la Zona Verde che delimita gli edifici governativi e le ambasciate straniere e hanno scandito «Il popolo è con te Sayyid Moqtada» usando il titolo di discendente del profeta Maometto che vanta Al Sadr.

Le forze di sicurezza hanno fatto di tutto per fermare i manifestanti prima che riuscissero a superare il cordone di sicurezza. Il primo ministro uscente, Mustafa al-Kadhimi, ha chiesto alla polizia di fare il necessario per difendere le istituzioni statali e gli organismi governativi. «Siamo qui per una rivoluzione», ha replicato un manifestante, citato dalla tv Al Jazeera «non vogliamo i corrotti, non vogliamo che tornino quelli che erano al potere al 2003: ci hanno solo fatto del male», ha aggiunto. Nelle ultime ore si sono fatte insistenti le voci che prevedono un futuro nero per l’Iraq se non sarà trovata una soluzione alla crisi nella maggioranza sciita del paese.

Il nuovo atto di forza ha voluto impedire la nomina a primo ministro di Mohammed Shia al Sudani, del partito islamista Dawa ed ex ministro dei Diritti umani durante il governo di Nuri al Maliki (2010-2014), indicato dai rivali pro-Iran del Quadro di coordinamento sciita come premier incaricato di formare il governo che l’Iraq attende da dieci mesi, ossia dalle elezioni dello scorso ottobre dalle quali il movimento sadrista era emerso come il gruppo parlamentare più consistente.

Al Sadr, leader del disciolto Esercito del Mahdi, la principale resistenza armata sciita all’occupazione statunitense dell’Iraq, trae gran parte del suo sostegno da un collegio elettorale formato in maggioranza da iracheni che vivono in povertà. Indicato superficialmente come un anti-iraniano, al Sadr in realtà è contro l’ingerenza straniera nel suo paese, non solo dell’Iran ma anche degli Stati uniti, ed in fatti mantiene legami con Teheran dove in alcune occasioni ha trovato rifugio. Il suo messaggio nazionalista e populista gli ha fatto vincere le elezioni di ottobre ma ciò non è bastato a fargli formare l’esecutivo di carattere inclusivo e nazionale – con dentro anche sunniti e curdi – che ha teorizzato dopo il voto, mettendo in allarme le altre forze sciite rivali. Ieri era prevista una votazione che avrebbe formalizzato l’incarico Al Sudani e i sadristi sono scesi in strada sospettando che l’assemblea potesse votare in una sessione a porte chiuse.

Ora si temono le reazioni del Quadro di coordinamento sciita, la coalizione di partiti e movimenti iracheni vicini all’Iran, che ha invitato i suoi sostenitori a organizzare una contro-manifestazione in difesa dello Stato. «Seguiamo con preoccupazione gli sfortunati eventi a cui Baghdad ha assistito negli ultimi giorni, in particolare gli assalti alle istituzioni costituzionali, l’assalto al parlamento e le minacce di attacco all’autorità giudiziaria, ai dipartimenti ufficiali e alle forze di sicurezza», si legge in una dichiarazione del Quadro di coordinamento di cui fa parte la Coalizione per lo Stato di diritto dell’ex premier Nouri al Maliki (l’avversario principale di Al Sadr), il partito Al Fatah di Hadi al Amiri (che è anche il leader delle Forze sciite di mobilitazione popolare), il partito Hikma guidato da Ammar al Hakim e l’alleanza Nasr guidata dall’ex primo ministro Haider al Abadi. «Lo Stato – aggiunge la dichiarazione – la sua legittimità e la pace sociale sono una linea rossa. Gli iracheni li difenderanno con tutti i mezzi pacifici».

A questo avvertimento ha replicato Saleh Mohammad al Iraqi, noto come «L’Ombra di Moqtada al Sadr», affermando che «i droni carichi di esplosivo danneggiano il prestigio dello Stato e non proteggono le istituzioni dalla corruzione». Al Iraqi si è riferito ai recenti attacchi con droni e missili in Kurdistan e nella provincia di al Anbar attribuiti da più parti alle milizie vicine all’Iran. A nulla, per il momento, sono serviti gli inviti a ridurre l’escalation giunti all’Unami, la missione Onu di assistenza all’Iraq.