Fino all’ultimo giorno pressione sull’Iran. Donald Trump lascia la Casa Bianca dopo aver avallato, domenica scorsa, un nuovo minaccioso sorvolo sul Medio Oriente dei giganteschi B-52H, i bombardieri più potenti al mondo capaci di trasportare 32.000 kg di armi, comprese le bombe nucleari. Centcom, il Comando Centrale Usa, ha parlato di «pattuglie di presenza» per la quinta missione in poche settimane dei B-52H. Al di là delle spiegazioni ufficiali, è facile collegare quest’ultimo sorvolo al test dei missili a lunga gittata effettuato il giorno prima dalle Guardie rivoluzionarie iraniane.

Tehran si dice non impressionata dalla dimostrazione di forza e suggerisce agli Usa di spendere il proprio budget militare in assistenza sanitaria ai cittadini americani. «Se le tue pattuglie di presenza di B-52H intendono intimidire o ammonire l’Iran, avresti dovuto spendere quei miliardi di dollari per la salute dei tuoi contribuenti», ha twittato il ministro degli esteri di Tehran Mohammad Javad Zarif, rivolgendosi a Trump. Poi ha aggiunto un avvertimento: «Mentre non abbiamo iniziato una guerra in più di 200 anni, non abbiamo paura di schiacciare gli aggressori. Chiedilo ai tuoi ‘migliori amici’ che hanno sostenuto Saddam». Per il generale Mohammed Baqeri, capo di stato maggiore delle forze armate iraniane, «le prove di forza degli Stati Uniti confermano come in realtà temano la capacità difensiva della Repubblica islamica». L’Iran ha effettuato in 20 giorni numerose manovre militari con l’impiego di droni e missili balistici di lungo raggio (fino a 1.800 km di distanza) nel Golfo di Oman e nell’Oceano indiano, per segnalare di essere pronto a rispondere all’attacco degli Usa ipotizzato da diversi analisti nei giorni della fine del mandato dell’Amministrazione Trump.

Nei passati quattro anni Washington ha adottato, anche sotto la forte pressione degli alleati israeliani e sauditi, una linea di crescente aggressività nei confronti di Tehran. Gli Usa prima sono usciti dall’accordo internazionale del 2015 sul programma nucleare iraniano, quindi hanno varato una lunga serie di sanzioni economiche e diplomatiche contro la Repubblica islamica. Poi il 3 gennaio 2020, Trump ha anche ordinato l’omicidio del generale iraniano Qassem Suleimani e ha alzato la pressione militare nel Golfo al punto da sfiorare la guerra con Tehran in almeno un paio di occasioni. Uno scontro armato manderebbe in fumo il tentativo che Joe Biden intenderebbe fare per riallacciare il dialogo diplomatico con l’Iran.

Allo stesso tempo, per segnalare che Israele non approva la futura mano tesa di Washington agli iraniani, il governo Netanyahu ha dato il via nelle ultime due-tre settimane a pesanti attacchi aerei in Siria – l’ultimo la scorsa settimana – contro presunte postazioni di milizie filo Iran. Raid che avrebbero fatto decine di morti e feriti e che sono risultati indigesti a Mosca, alleata strategica di Damasco. La Russia ha buone relazioni anche con Israele ma vuole che Tel Aviv fornisca le informazioni di intelligence che sarebbero alla base degli attacchi aerei. «Se avete evidenza del fatto che il vostro Stato stia affrontando minacce dal territorio siriano, segnalate i fatti con urgenza e prenderemo ogni misura per neutralizzare la minaccia», ha detto ieri il ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, chiedendo che la Siria non sia un campo di battaglia per lo scontro tra Iran e Israele. Parole che solo in apparenza rappresentano un rimprovero allo Stato ebraico. Più concretamente Mosca segnala di volere intervenire proprio sull’Iran per imporgli l’uscita di una buona parte delle sue forze dalla Siria.