Profondamente dimagrito su una sedia a rotelle, pallido come la mascherina che portava al volto. Eppure vivo e libero dopo 213 giorni di sciopero dalla fame. Avrà tirato per un attimo un sospiro di sollievo l’avvocato turco Aytaç Ünsal (32 anni) all’uscita dell’ospedale di Istanbul dove era ricoverato in gravi condizioni. Ma la gioia sarà durata poco perché il suo pensiero sarà subito andato alla collega e compagna di lotta Ebru Timtik che lo scorso 27 agosto è morta per la sua stessa battaglia.

Corpi ridotti a lamiere di pelle eppure da anni così minacciosi per il regime del “Sultano” Erdogan. È nella forza di questi corpi deperiti che forse si nasconde la debolezza di un regime autoritario, che si mostra forte (soprattutto all’estero), ma che trema internamente per poche ossa che gridano giustizia. È quanto solo quest’anno ci hanno ricordato Ebru e, solo alcuni mesi fa, gli artisti Bolek e Gokcek del Grup Yorum e il loro sostenitore Kocak.

AYTAÇ È STATO RILASCIATO giovedì dalla Corte Suprema turca perché ha stabilito che «il prolungamento della detenzione avrebbe messo in pericolo la sua vita». Solo con Aytaç se ne è accorta? Ma questa volta la sentenza del massimo tribunale giungeva nelle stesse ore in cui Erdogan incontrava il presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo, Robert Stano. Solo coincidenza?

Negli scorsi giorni i medici avevano lanciato l’allarme sul deterioramento delle condizioni di salute del detenuto. Aytaç come Ebru si trovava in carcere dal 12 settembre 2018. Accusato da un testimone anonimo di appartenere «all’organizzazione terroristica» marxista-leninista Dhkp-C, era stato condannato a 10 anni e 6 mesi di carcere (13 e mezzo per la sua collega).

A SALIRE INSIEME A LORO sul banco degli imputati con lo stesso capo d’accusa però ci sono anche altri 16 colleghi (tutti membri dell’Associazione degli Avvocati progressisti) le cui condanne sommate arrivano a 159 anni di carcere.
Processi politici dove a trionfare non è il diritto, ma la punizione del dissidente. E Aytaç, come Ebru, lo è perché la sua azione si oppone al disegno economico e politico voluto dal governo islamista dell’Akp. In difesa sempre degli ultimi, dalla parte di quella società civile vista tout court dal Sultano come «nemica», soprattutto dopo il golpe fallito del 2016.

Un’ostilità che Erdogan ha reso palese questa settimana quando, di fronte all’immagine di Ebru Timtik appesa fuori la sede dell’Ordine degli Avvocati di Istanbul, ha tuonato: «Un avvocato che difende terroristi non dovrebbe essere un avvocato», chiedendo l’espulsione di quelli che hanno legami con il «terrorismo».

«LA SCARCERAZIONE DI ÜNSAL è una vittoria della mobilitazione della società civile – ha dichiarato l’eurodeputato Giuliano Pisapia, in passato difensore del leader curdo Ocalan -. La mobilitazione per la tutela dei diritti umani in Turchia non deve cessare malgrado l’assordante silenzio anche di diversi Paesi europei». A partire da quelli dell’Unione europea come al solito attenta a non disturbare troppo Erdogan.

Ieri però il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha esortato Ankara ad assicurare l’immediato rilascio del difensore dei diritti umani Mehmet Osman Kavala, sospettato di tentato rovesciamento del governo. Lo scorso dicembre la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva stabilito che il suo arresto e la sua detenzione erano avvenuti in assenza di prove sufficienti e in violazione del suo diritto alla libertà.