L’autonomia leghista incontra i primi pesanti ostacoli sul suo cammino. Non c’è solo l’iniziativa delle opposizioni che ha messo in piedi una strategia in tre mosse, dal ricorso alla Consulta delle Regioni alla promozione dei referendum con le firme dei cittadini e il voto dei 5 consigli regionali guidati dal centrosinistra.

I PROBLEMI, COME ERA previsto, stanno nascendo anche dentro il centrodestra. Se il presidente del Veneto Zaia tre giorni dopo la promulgazione della legge Calderoli ha già avviato le pratiche per avere dal governo la devoluzione di 9 materie che non prevedono la definizione dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni), ma toccano temi sensibili come commercio estero, protezione civile e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, il ministro per la Protezione civile Nello Musumeci di Fdi (ex presidente della Sicilia) lancia già un siluro: «La richiesta di Zaia è assolutamente precoce, in linea di principio certo può farlo, ma c’è un problema di opportunità. Io ho delle perplessità. Sono per l’autonomia a patto che tutte le Regioni partano dalla stessa linea e chiederei a Zaia di accelerare invece il processo che porti all’individuazione dei Lep che costituisce una garanzia per le Regioni svantaggiate. Acceleriamo sui Lep, e poi procediamo».

Musumeci insomma intima a Zaia (e al lombardo Attilio Fontana e al piemontese Cirio) di fermarsi e attendere almeno un anno prima di avviare le trattative. Ma il veneto s’infuria: «Non c’è alcuna fuga in avanti. C’è una legge della Repubblica italiana, che io ho seguito. Se qualcuno pensa che si facciano delle leggi di facciata, lo dica…».

ZAIA FA L’ESEMPIO della protezione civile per dire che con l’autonomia, in caso di calamità, un governatore potrebbe fare ordinanze subito, senza aspettare il via libera del governo. E accusa: «Trovo assolutamente irrituale che qualcuno abbia da ridire: le leggi si rispettano e si applicano: se qualcuno ha altre visioni, si pone fuori dal perimetro democratico». Al sud le preoccupazioni crescono. Al punto che i 5 sindaci dei capoluoghi della Calabria, da Reggio Calabria a Cosenza, Vibo, Catanzaro e Crotone, chiedono al governatore Occhiuto di Forza Italia di unirsi alla battaglia delle regioni di centrosinistra contro l’autonomia: «La Calabria non resti a guardare, trasformi in azione concreta la contrarietà espressa dal presidente Occhiuto».

SUL FRONTE DELLE OPPOSIZIONI il coordinamento è strettissimo. La Sardegna guidata da Alessandra Todde (M5S) potrebbe fare da apripista nel ricorso alla Corte Costituzionale, essendo una regione a statuto speciale e quindi potendo argomentare che la devoluzione al Veneto di 9 materie intacca proprio la condizione di specialità che la Costituzione assegna a 5 regioni. Tra giovedì e venerdì le Regioni governate dai progressisti terranno una riunione per esaminare il testo che dovrà essere inviato alla Consulta. Il tema è semplice: le risorse delle materie non Lep verrebbero assegnate sulla base di compartecipazioni alle imposte destinate a crescere maggiormente nelle regioni del nord, spiegano dal fronte delle opposizioni.

Il capogruppo Pd al Senato Francesco Boccia chiama in causa il ministro dell’Economia Giorgetti: «Quella di Zaia è un’iniziativa che mette a rischio la tenuta dei conti pubblici e per questo stiamo depositando un’interrogazione e chiediamo che il ministro Giorgetti venga immediatamente in Aula a dirci se il principio del coordinamento della finanza pubblica sancito dall’articolo 119 della Costituzione sia ancora un punto fermo per il governo», dice Boccia, che chiede al ministro dell’economia di sapere «quale sia l’impatto sulla finanza pubblica delle richieste del governatore Zaia e di quelle delle altre regioni che potrebbero seguire il Veneto». E accusa Fdi e Fi: «In Parlamento avevano garantito che non ci sarebbero state accelerazioni prima della definizione dei Lep».

«Stiamo lavorando con le altre forze politiche e sociali per prepararci a raccogliere le firme per il referendum abrogativo», dice Elly Schlein. La replica della Lega: «Il Pd contro il progresso, l’efficienza, la trasparenza e il taglio degli sprechi che l’Autonomia porterà».

IN EMILIA ROMAGNA invece è la destra a chiedere conto al governatore uscente Bonaccini della retromarcia sull’autonomia: «Fa prevalere gli interessi di partito su quelli della regione», attaccano i leghisti. Replica il dem Gianclaudio Bressa, che era ministro degli Affari regionali nel 2018 quando anche l’Emilia- Romagna chiese l’autonomia: «Rispetto alla legge Calderoli quello era un altro mondo, non si parlava di trasferimenti di denaro».