La discussione nell’aula del Senato inizia con toni soft. Con i giallorossi (per una volta davvero uniti) a denunciare i rischi dell’autonomia differenziata per le aree più deboli del Paese, e Fratelli d’Italia impegnata a tentare di dissipare le tante nuvole che aleggiano su un mezzogiorno tutt’altro che entusiasta della riforma Calderoli.

LA DESTRA HA AL SUO ARCO buoni argomenti nel ricordare che le pre-intese con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna furono fatte dal governo Gentiloni. E, andando a ritroso, che la riforma del Titolo V della Costituzione, di cui questa legge è una applicazione, fu voluta dal centrosinistra nel 2001, governo Amato. I dem, dal canto loro, hanno ragione nel dire che non c’è nulla nella riforma leghista che assicuri che i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) saranno effettivamente garantiti da nord a sud. E nel ribadire che questa riforma, nel migliore dei casi, «cristallizzerà le diseguaglianze territoriali» su temi come sanità e scuola, ma potrebbe persino acuirle. Anche perché, ricordano in coro dal centrosinistra, «mancano le risorse». Certo, Fratelli d’Italia accusa il colpo quando il senatore dem Antonio Nicita invita «i partiti che hanno la parola “Italia” nel nome a toglierla se votano a favore». L’ex presidente della Camera Roberto Fico è ancora più netto: «Con il voto in Senato i “patrioti” al governo si rivelano definitivamente i veri traditori della patria». Alberto Balboni di Fdi (presidente della commissione che per 8 mesi ha esaminato il testo) accusa i dem di aver cambiato idea: «Se è vero che gli intelligenti cambiano idea, il Pd ha il quoziente intellettivo più alto», ironizza. Per poi vendersi come un trofeo il sì della Lega a un emendamento di Fdi (che sarà votato oggi) che prevede il trasferimento di risorse sulle singole materia anche alle regioni che non richiederanno l’autonomia. «Sono solo impegni scritti sulla sabbia», la replica delle opposizioni.

MENTRE IL SENATO DISCUTE e vota le pregiudiziali di costituzionalità delle opposizioni (bocciate con 90 voti contro 71), in 28 piazze i comitati «No autonomia» con sindacati e partiti provano ad alzare la temperatura dello scontro. Ma la gente non arriva. A Napoli in piazza Plebiscito ci sono 200 persone (quasi tutti anziani), l’ex sindaco De Magistris è sconsolato: «Il problema è che questa non è diventata una lotta popolare, perché il tema è difficile e viene visto come una cosa lunga». Il costituzionalista Massimo Villone spiega: «Sicuramente c’è un problema generale di costituzionalità, perché questa legge produce un aumento delle diseguaglianze che non sono compatibili con quelli che sono gli assetti costituzionali attuali del Paese».

A ROMA, A PIAZZA del Pantheon va pure peggio: un centinaio i presenti, con un via vai di senatori che raccontano quello che sta succedendo a palazzo Madama. «Venderemo cara la pelle», dice al microfono Francesco Boccia. Che chiama all’appello verso il referendum che sarà la prossima mossa delle opposizioni, dopo che le Camere avranno approvato la riforma. «I numeri ce li hanno, Fdi Fi hanno ceduto alla Lega, è un patto di potere». Sulla stessa line anche Giuseppe Conte, che si fa vedere al Pantheon così come Elly Schlein. «Se non fosse sufficiente la battaglia parlamentare è certo che dovremmo interpellare l’intero Paese», dice il leader M5S. «No allo scambio indecente fra premierato di Meloni e l’autonomia di Calderoli», attacca Nicola Fratoianni. Decine di sindaci che ieri hanno manifestato davanti alle prefetture si dicono pronti alla battaglia referendaria. «L’autonomia rischia di impoverire la parte del paese che è già povera, ed è anche colpa del Pd», dice il sindaco di Bari e presidente Anci Antonio Decaro. «Se non avessimo dato attuazione alla riforma del titolo V per inseguire la Lega, oggi non staremmo parlando del decreto Calderoli». Ora l’obiettivo è «non sbagliare un’altra volta, lo dobbiamo alle nuove generazioni del sud» . Stavolta il Pd pare compatto nel dire no. «Abbiamo fatto il congresso, la linea è chiara: tutto il Pd contrasta questa riforma. Sono qui per questo», dice Schlein alla piazza. «È un progetto che spacca l’Italia, scellerato. L’Autonomia mina l’unità nazionale e nega il diritto alla scuola e alla salute: bisogna unire le forze politiche e sociali dal Nord al Sud».

I MANIFESTANTI CHIEDONO a Boccia di garantire che l’Emilia Romagna di Bonaccini farà marcia indietro sull’autonomia. E lui: «Quelle intese del 2018 sono preistoria, anche Bonaccini è d’accordo: le avevamo già affossate noi nel 2020 col governo Conte. Chiarimmo allora che per parlare di autonomia serviva prima un fondo di perequazione da 80 miliardi per garantire le regioni più deboli». Il dem Alessandro Alfieri sbuffa col, suo capogruppo: «Il nostro avversario è la destra, non siamo in piazza per criticare Bonaccini…». In Aula, Calderoli è l’unico ministro presente. Ascolta immobile le proteste, poi sorride: «Il trenino delle riforme è partito…». Il via libera del Senato dovrebbe arrivare già domani.