Il Gruppo di ricerca Intercontinentale sulla Pandemia (GRIP), composto da una trentina di persone che si occupano professionalmente della sofferenza psichica e delle condizioni sociali entro cui la sofferenza si diffonde, ha organizzato il 26 giugno un incontro di discussione sulle prospettive aperte dal processo costituente cileno.

Molto poco si discute in Europa delle sollevazioni latino-americane degli ultimi anni, e quasi niente dell’Assemblea Costituente che si è insediata in Cile dopo le elezioni del 16 maggio scorso, seguite all’esplosione sociale dell’autunno 2019, quando milioni di lavoratrici studenti e giovani avevano per mesi occupato le strade e affrontato la violenza delle forze armate.

La Costituzione promulgata da Pinochet nel 1980, eredità del colpo di stato e del massacro che ne era seguito, era la perfetta realizzazione del sogno neoliberista. La sua abrogazione rende possibile ragionare in maniera collettiva sulla possibilità di uscire dal ciclo della privatizzazione, della precarizzazione, e della diseguaglianza. Per questo, quando Il 25 ottobre 2020 l’82% degli elettori cileni votò per l’abrogazione di quella costituzione, a noi del GRIP parve che si trattasse di un evento di importanza storica: ricordiamo infatti l’11 settembre del 1973 come il giorno in cui, con la violenza armata, comincia la svolta nazi-liberista che ha devastato gli ultimi quaranta anni di vita del genere umano.

L’assemblea costituente eletta il 16 maggio scorso dal 42% della popolazione adulta del paese è composta al 70% da quattro liste della sinistra. Il 50% degli eletti sono da donne, e l’età media dei costituenti è di 42 anni.
Si delinea quindi la possibilità di elaborare una carta dei principi che rovesci l’ottica della priorità del profitto privato, redistribuendo la ricchezza concentrata nelle mani di un’esigua minoranza. Il processo costituente prenderà tempo, coinvolgerà milioni di persone che in tutto il paese hanno creato assemblee e organismi di base in cui si sta tentando di elaborare principi capaci di dare forma egualitaria alle potenzialità tecniche e conoscitive dell’epoca postindustriale.

Si tratta di una scommessa gigantesca, ed è sbalorditivo come la stampa e l’opinione pubblica europea (che forse non esiste più) l’abbiano finora completamente ignorata. Ma siamo soltanto all’inizio del processo costituente, e siamo in tempo per partecipare all’elaborazione che si sta svolgendo in Cile, che andrà sollevando temi che riguardano l’intero pianeta, e certamente in maniera diretta l’Europa. Per questo il GRIP ha convocato l’assemblea intercontinentale del 26 giugno.

Centoquaranta persone hanno partecipato all’incontro. Ventidue hanno preso la parola: redattori della radio Vitrina Distopica, giovani rivoltosi di Cali, dove si contano decine di morti negli ultimi due mesi, psicoanalisti di Buenos Aires, sindacalisti cileni. Quasi tutti latino-americani. Pare che gli europei, che pure avevamo invitato, abbiano cose più importanti cui pensare. Alcuni hanno detto che l’istituzionalizzazione del processo ha salvato il potere di Pineira dopo la rivolta dell’autunno 2019, e hanno segnalato il pericolo che che la costituente finisca per sterilizzare il movimento.

Ma altri hanno risposto che senza il movimento la costituente non esisterebbe, ma che senza costituente il movimento rischia di non poter creare le strutture per la sua continuità. Ora si tratta di inventare un modo per dare visibilità internazionale al processo cileno e al tempo stesso un modo per ricavare da quel processo elementi di prefigurazione per il futuro: se, come è probabile, la precarizzazione generalizzata e l’ulteriore polarizzazione della ricchezza getteranno nel caos l’Europa post-pandemica, nel processo costituente cileno potremmo trovare le linee di un’alternativa. Il movimento cileno ha insistito sulla centralità della questione psichica, dell’epidemia di sofferenza mentale che incombe. “Non era depressione, era capitalismo” è la scritta che apparve sui muri di Valparaiso nell’autunno del 2019. Quella scritta segnala il problema che avremo di fronte nei prossimi anni, non soltanto in America Latina, ma nel mondo e anzitutto in Europa.

Come vediamo in Italia proprio in questi giorni, il potere economico e finanziario sta usando le conseguenze della pandemia per lanciare un attacco definitivo alla composizione sociale operaia, per distruggere quel che rimane dei diritti del lavoro. Dietro l’ondata prossima di licenziamenti annunciati si prepara una “grande sostituzione” della forza lavoro: cacciare lavoratori che sono protetti dalla legge e dal contratto, per assumere lavoratori senza garanzie da sfruttare senza limiti fino all’esaurimento psichico e fisico.

Il capitale si prepara a sottomettere una generazione psichicamente fragilizzata dalla precarietà, dal distanziamento tecnico e dal distanziamento sanitario. Una generazione cha ha imparato più parole da una macchina che dalla voce della madre, e che fatica a elaborare le condizioni per la solidarietà. Una generazione che ha dovuto attraversare nell’ultimo anno un’esperienza di isolamento forzato, dalla quale uscirà probabilmente indebolita e incline a una depressione sub-acuta di lungo periodo. L’esperienza cilena (come quella dei giovani neri latini e precari del Nord America della primavera 2020) suggerisce che solo la sollevazione sociale potrà restituire benessere psichico e di conseguenza anche autonomia politica.