Una Francia che sta lanciandosi dietro le spalle gli anni della seconda guerra mondiale e che vuole divertirsi e diradare la plumbea coltre di povertà, dolore e macerie di un mondo ormai scomparso o in via di sparizione. Le persone vanno nuovamente in vacanza.

MARSIGLIA È LA CITTÀ mediterranea per eccellenza, mentre la Costa azzurra è la mèta ambita anche per piccoli e medi impiegati, cioè quella piccola borghesia che il gollismo ha scelto come base di massa delle sue fortune elettorali. Parigi, la capitale del XX secolo, è in via di rapida trasformazione. Sta cambiando pelle e i luna park sono i luoghi prescelti per assaporare il gusto dell’eccentricità nel vestire e nelle consuetudini sessuali per poi tornare alla routine quotidiana. Ed è proprio Parigi la location del romanzo di Léo Malet Delitto al Luna Park (Fazi, pp. 203, euro 15) che ha come protagonista il detective privato Nestor Burma.

SONO DUE ANNI che meritoriamente la casa editrice Fazi sta pubblicando i romanzi di questo scrittore francese, poco conosciuto a queste latitudini, ma che ha avuto il grande pregio di aver sovvertito, innovandolo, un genere – il noir – attraverso un cambio di prospettiva e facendo irrompere nelle pagine dei suoi romanzi figure sociali che la narrativa d’oltrealpe aveva espulso. Difficile immaginare la politicità dei noir di Dominique Manotti, Fred Vargas, Jean-Claude Izzo, Didier Daeninckx senza Malet.

In Malet la parte del leone spetta, infatti, a operai, lumpenproletariat, prostitute, piccoli artigiani, «irregolari». E se nei primi romanzi, le atmosfere evocassero la Parigi degli anni Trenta, in questo siamo negli anni Cinquanta.

TUTTI VOGLIONO dimenticare la guerra non potendo sapere che da lì a pochi anni irromperanno nelle strade della capitale francese i «dannati della terra» algerina, tunisina, indocinese che, in nome di «libertà, uguaglianza e fraternità», vogliono spezzare le catene del colonialismo. Cioè temi che hanno condizionato il noir francesce nella seconda metà del Novecento.

Nel Delitto al Luna Park, oltre che dimenticare la guerra e la complicità di molti connazionali nella deportazione e sterminio di ebrei e prigionieri politici, i francesi vogliono anche arricchirsi. Nestor Burma incappa in un malvivente con un passato da impiegato e deve difendersi per salvare la pelle.

Ci riuscirà, mettendo fine però alla vita del suo avversario. Pagina dopo pagina, emerge dal recente passato la rapina di un treno che trasportava due vagoni pieni di oro, un vignaiolo che vuol diventare importante, bulli di quartiere che hanno scelto i luna park per le loro scorribande; ragazze borghesi in fuga dalla prigione famigliare. E poliziotti nostalgici del tempo passato quando nessuno metteva in discussione il loro operato.

LÉO MALET è stato un grande scrittore di noir. Non nascondeva il suo amore per Dashiell Hammet e Raymond Chandler. In questo Delitto al Luna Park li omaggia espressamente, mettendo così in chiaro, per chi avesse dubbi, che nulla aveva a che fare con George Simenon, allora astro di successo del giallo francese. Recentemente, nella scoperta italiana di Malet in molti hanno, a ragione, sottolineato che l’autore non era certo secondo a Simenon.

ENTRAMBI SONO GRANDI scrittori, ma con stili antitetici. Simenon è il cantore della piccola borghesia conservatrice francese; Malet usa invece il noir per denunciare le diseguaglianze di classe perduranti nella patria di quella Marianna simbolo della prima rivoluzione moderna. È cioè uno scrittore partigiano che mantiene, tuttavia, intatto un ironico disincanto verso chi vuol raddrizzare, indipendentemente dai mezzi, il legno storto dell’umanità. Sta in questo disincanto la sua forza narrativa, nel tessere credibili trame della critica corrosiva della Francia gollista e borghese.