«Il nostro paese sta vivendo una dura crisi economica, sanitaria, sociale legata anche alla mancanza di sicurezza che è confermata dagli scioperi del settore pubblico di questi mesi (scuola e sanità in particolare, ndr), dal banditismo, dai rapimenti, dagli scontri intercomunitari e dagli attacchi alle forze di sicurezza, senza alcuna risposta adeguata da parte del presidente Buhari» ha affermato ieri alla stampa nazionale Atiku Abubakar, leader del Partito democratico popolare (Pdp) e principale forza politica di opposizione in Nigeria.

Polemiche e durissime critiche, ormai sempre più frequenti, nei confronti dell’incapacità da parte del presidente Muhammadu Buhari (in questi giorni ufficialmente all’estero «per un periodo di riposo») di poter arginare una difficile crisi securitaria, legata al dilagare della violenza in numerosi stati federali.

In questi ultimi due anni si è passati dalle brutalità di gruppi jihadisti come Boko Haram e Stato islamico dell’Africa Occidentale (Iswap) nelle aree del nord-est (Borno, Yobe), al banditismo e ai rapimenti di studenti negli stati del nord-ovest (Katsina, Kano, Zamfara).

Situazione che, in quest’ultimo mese, sta diventando sempre più critica anche in numerose regioni centrali (Niger State, Benue, Kaduna) con una serie di attacchi contro le forze di polizia e militari. Il più recente episodio risale a questo venerdì, quando una banda armata ha attaccato una pattuglia dell’esercito uccidendo 11 militari.

Lo stato di Benue si trova nella zona denominata “Middle Belt”, vale a dire la fascia centrale della Nigeria, dove si sono formati numerosi «gruppi armati di difesa», in seguito agli ormai decennali scontri tra pastori semi-nomadi e agricoltori sedentari.

Il mese scorso, il governatore dello stato di Benue, Samuel Ortom, ha dichiarato di essere sfuggito «a un attacco di una banda di pastori armati mentre viaggiava su un convoglio» e secondo le forze di polizia «dopo anni di scontri con gli agricoltori, i pastori fulani hanno creato numerosi gruppi legati al banditismo».

Ancora più grave, se possibile, resta la situazione nelle aree del sud-est del paese, dove questo lunedì un gruppo armato, a bordo di pick-up e pesantemente armato, ha assaltato la prigione di Owerri, nello stato di Imo, facendo evadere più di 1800 detenuti.

«1.844 prigionieri fuggiti, l’ingresso principale del carcere abbattuto con l’esplosivo, numerosi veicoli distrutti e armi saccheggiate da una stazione di polizia»: questo il bilancio ufficiale presentato dall’ispettore generale della polizia, Muhammed Adamu, per quella che viene considerata dalla stampa locale «la più grande fuga di prigionieri della storia della Nigeria moderna», con enorme imbarazzo per le autorità nigeriane.

 

Documenti bruciati nel carcere di Owerri (Ap)

 

In una dichiarazione ufficiale Adamu ha indicato come principale indiziato dell’attacco, non rivendicato, il Movimento delle popolazioni indigene del Biafra (Ipob), invitando le forze di sicurezza «a sterminare tutti gli attivisti del gruppo».

A 50 anni dalla terribile guerra civile del Biafra (1967-1970), che ha ucciso quasi un milione di persone per lo più di etnia Igbo, rimangono forti le tensioni tra il governo centrale e i gruppi secessionisti biafrani – quello più politico dell’Ipob o la milizia dell’Eastern Security Network (Esn) – con la richiesta di uno stato indipendente.

Da parte sua, Emma Powerful, portavoce dell’Ipob, ha negato ogni coinvolgimento nell’attacco al carcere di Owerri, definendo le accuse «false e strumentali». Gli attivisti del gruppo negano di essere l’ala armata del movimento indipendentista e affermano solamente di voler «proteggere le loro comunità e i loro villaggi dalle violenze dei pastori nomadi Fulani, venuti dal nord del Paese».