Alla fine i 45 atleti e i due tecnici russi che speravano di essere riammessi alle competizioni dei giochi olimpici invernali di Seul – iniziati ieri con la tradizionale sfilata delle delegazioni nazionali in gara – hanno dovuto mestamente fare le valigie e tornare a casa. A qualcuno è scivolata persino una lacrima, normale reazione per sportivi che si preparano per anni alla partecipazione di una grande manifestazione.

Si conclude così un giallo iniziato già quando si era spento il braciere della precedente edizione dei giochi invernali a Sochi nel 2014. Secondo alcune inchieste prima giornalistiche e poi di commissioni del Comitato internazionale olimpico (Cio) 45 atleti russi avevano fatto uso durante quelle gare di sostanze dopanti.

Il Cio aveva in seguito deciso di privare questi atleti dei risultati ottenuti in quella occasione e di escluderli a vita dalla partecipazioni a manifestazioni internazionali. Lo scorso dicembre il Comitato aveva inoltre sentenziato che la Russia non sarebbe stata ammessa come squadra ai giochi di Seul e i suoi atleti avrebbero potuto parteciparvi come «senza bandiera». Una decisione che era stata contestata dai dirigenti federali russi ma che lo stesso Putin aveva deciso a malincuore di accettare.

Tuttavia a sorpresa il primo febbraio il Tribunale arbitrale sportivo di Losanna ha assolto tutti gli atleti russi per i presunti casi di doping, riaprendo la partita della partecipazione ai giochi dei 45 sportivi. La Federazione Russa ha immediatamente fatto ricorso, mentre gli atleti assolti atterravano con i compagni di squadra a Seul sperando in un miracolo. Ma il miracolo non c’è stato e forse non poteva esserci: il ricorso è stato rigettato.

Vitaly Mutko, vicepresidente del governo della Federazione Russa e già ministro dello sport, ha commentato la decisione del tribunale affermando di «comprendere, ma al contempo di essere deluso per la decisione assunta». Ha comunque confermato che a marzo in Russia si terrà una manifestazione sportiva a cui parteciperanno gli esclusi «in modo da rendere meno amara l’ingiusta esclusione dai giochi».

Più dure le parole del portavoce della Duma Vyaceslav Volodin secondo cui «le decisioni prese dal Cio minano la credibilità dei risultati dei Giochi olimpici». A questo punto è veramente difficile che la partita si chiuda qui, perché al Cremlino tutta questa vicenda è sempre stata percepita come un attacco politico al Paese, un ulteriore strumento per emarginare la Russia dalla comunità internazionale.

Così il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov ieri ha preso carta e penna e ha stilato una durissima dichiarazione in cui afferma che sempre più persone nel mondo comprendono l’insensatezza della volontà di punire la Russia e di ostacolare il suo sviluppo socio-economico.

«Allo scopo di punirci – ha affermato il capo della diplomazia del Cremlino – si sta utilizzando un’ampia gamma di strumenti: il dispiegamento di una difesa missilistica globale vicino ai nostri confini a est come a ovest, la guerra dell’informazione con accuse di cyber-attacchi russi contro quasi tutto l’Occidente, e naturalmente il tentativo di discreditare i nostri atleti olimpici senza presentare nessuna prova concreta».

Reazioni durissime anche dal mondo politico russo. In una risoluzione firmata da tutti i partiti si afferma che queste decisioni «non solo danneggiano la carriera sportiva di atleti e allenatori russi, ma anche la reputazione del Cio».

Inoltre, secondo gli estensori del documento, «il principio di inammissibilità di qualsiasi forma di discriminazione, proclamato dalla Carta olimpica del Cio, viene violato. I doppi standard usati nella sfera dello sport causano danni significativi all’intero movimento sportivo, i cui obiettivi sono promuovere e attuare i principi del movimento olimpico, lo sviluppo della cultura fisica e dello sport».

Una reazione condivisa da gran parte dell’opinione pubblica russa che è scesa in piazza sabato scorso in molte città «a sostegno dei nostri atleti». E che la scorsa notte è rimasta sveglia per seguire una lunghissima diretta televisiva in attesa della decisione finale del Tribunale.