Ancora una volta, sembra che il governo di Madrid stia cercando in tutti i modi di far aumentare il numero di catalani pronti a stracciare la carta d’identità spagnola, oggi certificato nel 47.8% degli elettori in Catalogna.
Neanche il tempo di diradare la polvere della battaglia elettorale che arriva puntuale l’arma più efficace per rafforzare un presidente Artur Mas indebolito dalla mancanza di appoggi parlamentari sufficienti per coronare il suo sogno di trasformarsi per la terza volta in President de la Generalitat de Catalunya. Proprio quando la lista Junts pel Sí dietro le quinte si stava per arrendere all’eventualità di dover trovare un altro candidato più gradito al movimento indipendentista di sinistra della Cup, arriva l’annuncio che Mas, assieme all’ex vicepresidente del governo catalano Joana Ortega (che è uscita dal governo quando il partito alleato di Mas, Unió, ha deciso di abbandonare la coalizione alcuni mesi fa) e all’ancora in carica ministra dell’istruzione Irene Rigau devono presentarsi a dichiarare come imputati davanti al giudice il 15 ottobre.

Tra l’altro, una data proprio inopportuna: il 15 ottobre 1940 le truppe franchiste fucilarono nel castello di Montjuic l’ultimo presidente democratico catalano prima dell’avvento della dittatura, Lluís Companys, esponente di Esquerra Republicana, che avevano catturato dall’esilio e torturato.

La vicenda giudiziale risale al famoso referendum del 9 novembre scorso. Il parlamento catalano con una legge per istituire consulte popolari l’aveva reso possibile, ma il governo di Madrid l’aveva impugnato ben due volte per cercar di impedirne la celebrazione. Alla fine, il governo di Mas era ricorso all’escamotage di non “convocare” proprio nulla, ma di fatto quasi 2 milioni e mezzo di catalani si erano recati “informalmente” alle urne per dire come la pensavano.

Il governo del Pp aveva reagito denunciando Mas e i due membri del suo governo al procuratore generale dello Stato (Fiscalía del Estado) per i delitti di «disobbedienza grave, prevaricazione, appropriazione indebita e usurpazione di funzioni» per aver «disobbedito» all’ordine del Tribunale Costituzionale di non celebrare il referendum. Assieme al presidente catalano, la vicepresidente e la ministra dell’istruzione (per aver favorito l’utilizzo di locali pubblici, cioè le scuole). Reati molto gravi, che potrebbero portare all’inabilitazione che impedirebbe a Mas e alle altre due imputate di esercitare cariche pubbliche fino a dieci anni.

Tra l’altro, il procuratore generale catalano, assieme ai nove giudici che compongono la procura generale catalana (gerarchicamente sottoposta a quella dello stato) si erano rifiutati di imputare i membri dell’esecutivo di Barcellona, e hanno dovuto accettare l’imputazione per ordine del Fiscal General del Estado Eduardo Torres-Dulce, come no, scelto direttamente dall’esecutivo Rajoy.

Il ministro della Giustizia del governo spagnolo, Rafael Català, ha ammesso che si è attesa questa settimana «per non interferire» con le elezioni.

Le reazioni a Barcellona non si sono fatte attendere. «Anomalia democratica», l’ha chiamata la portavoce dell’esecutivo catalano Neus Munté; Esquerra Republicana ha detto che «è un’ulteriore prova che dobbiamo essere indipendenti».

La Cup ha parlato di uno stato «inquisitoriale» e ha espresso solidarietà a Mas, parlando di due milioni di disobbedienti «felicissimi» di essere imputati anche loro; la sindaca di Barcellona Ada Colau parla di «disprezzo per la democrazia». Per i socialisti catalani si tratta di una «imputazione politica».

Íñigo Errejón di Podemos per twitter sostiene che Mas «dovrebbe rendere conto della corruzione e dei tagli, non per aver fatto votare la gente». Intanto il conto alla rovescia è cominciato: al massimo entro un mese si deve costituire il nuovo parlamento.