Vistato e validato dall’Ufficio parlamentare di bilancio, che aveva già chiesto e ottenuto alcune correzioni, il Def nella sua versione integrale è stato reso noto ieri. I dettagli aggiungono parecchio non solo sulle previsioni del governo ma anche sul suo progetto e sulle sue a volte stridenti contraddizioni. Il semaforo verde dell’Upb comunque è pelo pelo. Il quadro macroeconomico prospettato dal governo è «accettabile per il complesso dell’orizzonte 2023-36» ma «al limite» per il 2024.

IL LIMITE È COSTITUITO dall’incertezza del quadro internazionale: il Def quantifica infatti in 3 punti decimali in meno rispetto alle stime tendenziali quest’anno e 4 l’anno prossimo la ricaduta negativa di eventuali impennate del prezzo dell’energia. Ma soprattutto l’incognita è rappresentata dalla «piena e tempestiva realizzazione dei progetti del Pnrr». La spinta, nel caso di pieno successo, sarebbe in realtà possente: un punto percentuale in più quest’anno, 1,8% il prossimo, 2,7% nel 2025, 3,6% l’anno successivo. Un’impennata vicinissima al 9%, da aggiungersi a quanto si sarebbe comunque realizzato. Ma il condizionale in questo caso è d’assoluto obbligo. L’aumento dei costi per i progetti del Piano dovuto all’inflazione, tanto per citare uno dei problemi maggiori ma non l’unico, è stimato in 26 miliardi: l’11,4% del totale delle risorse.

È vero che l’inflazione, nelle attese del Mef, dovrebbe precipitare fino al 5.7% quest’anno, al 2,7% nel 2024 e poi in picchiata. È anche vero che la discesa dai livelli di febbraio a quelli di marzo è stata precipitosa. Però l’Arera prevede aumenti del 10 e del 25% rispetto all’ultima bolletta dell’elettricità nel terzo e quarto trimestre e col gas va appena un po’ meglio: 5% e 15% in più. Insomma c’è il rischio che si tratti non di una discesa secca ma di una corsa sulle montagne russe e basterebbe a far sballare buona parte delle previsioni.

IL DOCUMENTO CONFERMA la decisione di andare in deficit per 3,4 miliardi quest’anno: quelli che saranno adoperati per aumentare il taglio del cuneo fiscale a favore del lavoro dipendente per le fasce medio-basse e che potrebbero essere sbloccati già dalla fine del mese. Altri 4,5 miliardi in deficit affluiranno nel 2024, indirizzati tutti sulla riforma del fisco. Il capitolo sanità, in compenso, registra un aumento della spesa più sostenuto rispetto al previsto, 2.150 milioni quest’anno e peggio nei prossimi, ma ci si limita al fabbisogno standard senza alcuna progettualità che miri a risanare un sistema in ginocchio. Tenendo conto dell’annuncio del ministro Fitto al Senato, la cancellazione cioè delle case di comunità dai progetti del Pnrr, più che di previsione si dovrebbe parlare qui di una visione precisa: quella di un Paese fondato sulla sanità privata invece che pubblica.

IL DOCUMENTO RIBADISCE la centralità della riforma fiscale nella strategia dell’esecutivo, con una prima clamorosa contraddizione: è infatti citata quella riforma del Catasto contro la quale, quando a proporla fu il governo Draghi, Lega e Fi innalzarono barricate inespugnabili. Non è la sola contraddizione né quella principale e non si allude alla gaffe per cui viene dato per approvato il 6 aprile scorso il decreto Concorrenza, in realtà ancora per aria. Quella è solo un’imbarazzante svista e c’è ben altro: le stime chiariscono infatti nero su bianco che un calo dell’immigrazione pari al 33% porterebbe il debito pubblico italiano al tracollo, intorno al 200% punto più punto meno, per il 2070. In compenso un aumento degli ingressi nella stessa misura, implicherebbe un brusco calo del medesimo debito, col 30% in meno. Giorgia Meloni e Giorgetti, primi responsabili del Documento con la tabella in questione, dovrebbero confrontarsi allo specchio con se stessi.

C’è infine una spesuccia in sospeso: il Ponte sullo Stretto. Costerà 13,5 milioni ma qui quanto alle coperture il Mef alza le mani: se ne riparla nella legge di bilancio. Per ora alla voce risparmio campeggia un’indicazione nota: spending review soprattutto nei ministeri.