E così, adesso che Elly Schlein si è fatta intervistare da Vogue e i detrattori non potranno più accusarla di essere una sporca comunista e nemmeno una zecca da centro sociale, non gli resta che prendersela con l’armocromia, tecnica usata da decenni a Hollywood per capire quali colori esaltino i punti di forza di dive e divi. Se gli indignati leggessero ogni tanto i periodici femminili, non sarebbero caduti dal pero e saprebbero che l’analisi per capire se sei un tipo inverno o estate, se ti stanno meglio i colori spenti o vivaci, in Italia la fanno da anni delle esperte perché il colore non è un dettaglio, ma un perno dell’esistenza. Senza scomodare i grandi pittori, basterebbe sapere che Goethe scrisse La teoria dei colori o che la scuola Bauhaus ebbe fra i suoi esponenti di punta Johannes Itten che con L’arte del colore ha influenzato schiere di architetti e designer.

Comprare una camicia non è un gesto banale. Fu la prima cosa che pensai quando, molti anni fa, incontrai Bill Gates nei suoi uffici di Seattle. Gates ha colori di pelle, capelli, lentiggini che tendono al rosa/rossiccio. Che non si affidasse a un’armocromista era evidente perché indossava una camicia color nocciolina e pantaloni verdastri. Sembrava un tutt’uno spentissimo, ti veniva voglia di dirgli «Vieni che compriamo una maglietta blu». La sua era di sicuro una scelta. Non voleva farsi notare, non ne aveva bisogno.

Che il colore e gli abiti contino per chi ha potere lo dimostra Giorgia Meloni che da quando è premier ha intrapreso una mutazione stilistica. Ve la ricordate coma andava vestita quando era all’opposizione o in campagna elettorale? Maglie sgargianti e oversize fin sotto i fianchi, gonne argentate e plissettate fino alla caviglia, magliette e maglioni tipo «Mi sono messa la prima cosa che ho trovato», bracciali e orecchini metallici da nipote di Attila, leggins e scarpe da ginnastica. Il messaggio, neanche tanto subliminale, era «Sono una di voi», «Sono arrabbiata», «Vi vendicherò», «Bando alle frivolezze». E adesso? Adesso è tutta giacche ben costruite e rigorose, colori scuri o primari, decolleté d’ordinanza, pantaloni misurati, come i gioielli, camicette di seta, un insieme traquillizzante, un po’ da sciura sempre in ordine. Il detto non detto è «Sono responsabile», «Fidatevi di me».

Elly Schlein manda un messaggio diverso, un finto casuale, quindi molto studiato, che dice «Voglio stare comoda», «Non sono prevedibile», «Mi piace scombinare gli schemi». Per esempio, quando abbina una camicetta amaranto a una giacca verde petrolio, o una giacca blu cobalto a una camicia a righe bianche e rosse esce da tutti i modelli estetici, e non solo, femminili visti finora in politica, a parte Emma Bonino che fa storia a sé. Sta sempre sbottonata, Elly Schlein, a volte stropiacciata, come se avesse dormito dentro i vestiti. Lei non indossa gli abiti, li vive. Che distanza siderale dalle fedeli berlusconiane, tutte tacchi e messa in piega.

I politici maschi che fanno in proposito? A parte qualche felpa assassina, dell’estetica, sono sempre legati alle loro cravatte, grisaglie, pochette, doppi petti o abiti mal tagliati perché anche lì ci sono gli attenti e quelli che «Chi se ne frega del sarto». E comunque, sul colore sono di una noia assoluta. Prevedibili, che non vuol dire affidabili.