Alla buona notizia che TotalEnergies e Chevron Corp hanno deciso di andarsene dal Myanmar dei golpisti, un’inquietante notizia sul Paese l’ha pubblicata AsiaTimes online, vecchio magazine con sede a Bangkok che ha chiuso la pubblicazione cartacea nel 1997 ma senza diminuire la qualità delle sue inchieste. Secondo il giornale asiatico, che cita testimonianze locali, non meno di un paio di aerei della compagnia cargo iraniana Fars Air Qeshm sarebbero atterrati in gennaio in Myanmar. La Compagnia commerciale, già nell’occhio del ciclone con l’accusa di aver trasportato sotto insegne civili armi nel teatro siriano e per Hezbollah in Libano, starebbe svolgendo – secondo indiscrezioni raccolte dal giornale – lo stesso compito in Myanmar. Lo confermano esponenti del governo clandestino che combatte la giunta al potere dal 1° febbraio.

NESSUNO ha visto scaricare armi e nessuno può provarlo, né la giunta manca di fornitori, la Russia in primis. Ma Teheran potrebbe aver negoziato la vendita di missili teleguidati per rafforzare il dispositivo di repressione militare contro le proteste mai rientrate dal giorno del golpe. Ai sospetti si aggiunge la lista di una delegazione al suo secondo o terzo viaggio in Myanmar tra cui spiccherebbero nomi di Pasdaran, i Guardiani della rivoluzione che non hanno compiti strettamente diplomatici.

IN ATTESA che si vada a un improbabile embargo internazionale sulla vendita di armi al Myanmar, risoluzione bloccata in Consiglio di sicurezza dal veto russo e cinese, crescono però le pressioni perché aumentino le sanzioni commerciali sulla giunta, unica sostanziale beneficiaria dei proventi dell’export. Diverse organizzazioni continuano a chiedere all’Unione europea di sospendere a Naypyidaw la clausola EBA (Everything but Arms – Tutto fuorché le armi) che rimuove tariffe e quote dei beni importati nella Ue. A Joseph Borrell, a capo della diplomazia del terzo partner commerciale del Paese e suo terzo mercato di esportazione, l’associazione Italia-Birmania Insieme (Ibi) ha appena inviato un corposo dossier per spingerlo ad agire per rimuovere la clausola e colpire i soggetti – aziende, banche, fondi di investimento – che continuano a investire nel mercato birmano. Non è l’unica: anche la campagna CleanClothes – che segue la filiera del tessile – ha fatto la stessa richiesta. Le pressioni della società civile sembrano le uniche a ottenere risultati. Come dimostrano le scelte di Chevron e Total.

La diplomazia invece non fa grandi passi avanti: semmai qualcuno indietro. È il caso del viaggio che Hun Sen, al momento presidente del gruppo asiatico dell’Asean (associazione regionale di cui il Myanmar fa parte), che si è recato in solitaria a Naypyidaw dove i generali lo hanno accolto col tappeto rosso negandogli però di vedere Aung San Suu Kyi. Messo in guardia in una telefonata col presidente indonesiano Jokowi sul possibile fallimento di una visita decisa senza consultare i membri, Hun Sen è stato bersagliato anche da Malaysia e Singapore, le cui reprimende sottolineano come il premier cambogiano abbia rotto un fronte compatto che, al momento, ha escluso dai suoi summit i birmani in divisa.

A 10 GIORNI dal tragico anniversario del golpe, un silenzio imbarazzante continua a circondare un colpo di stato macchiato dal sangue ogni giorno di più, con numeri (per difetto) che sono quelli di una guerra: 1500 civili uccisi, oltre cento al mese. Una serie di violazioni dei più elementari diritti sta nel dossier Ibi consegnato a Borrell: 130mila maestri, 11mila docenti, 400mila funzionari pubblici sospesi; 250mila operai tessili licenziati; 16 organizzazioni sindacali chiuse; 28 sindacalisti uccisi e 116 arrestati.