Staffetta Di Maio-Zelensky riguardo l’allarme sui milioni di esseri umani condannati a una severa insicurezza alimentare se la Russia non toglierà il blocco navale dai porti che si affacciano sul Mar Nero. Ieri è toccato al presidente ucraino riproporre il tema all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, che in assenza di storie “forti” e/o notizie certe dal fronte si appassiona alla sorte del grano e in generale della produzione agricola ucraina. Enormi quantità bloccate di cereali, mais, olii vegetali che non possono più «giocare il loro ruolo di stabilizzazione sui mercati globali», ha ricordato Zelensky

UNA SPONDA A KIEV su questo l’ha offerta Mario Draghi aprendo ieri a Parigi la ministeriale dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Anche lui ha voluto ribadire l’urgenza di «sbloccare le milioni di tonnellate di cereali bloccate dal conflitto». Servono subito corridoi sicuri per consentire alle merci di prendere la via del mare ma attenzione, dice il premier italiano, dobbiamo fornire a Kiev l’assicurazione che quegli stessi corridoi non vengano poi utilizzati per attaccare i porti ucraini.

Preoccupazione legittima, che sembra giustificare il niet ucraino all’accordo che si prospettava con la mediazione turca. Però che non considera la posizione russa, riaffermata ancora ieri dal ministro degli Esteri Serguei Lavrov al termine dell’incontro avuto a Erevan con il suo omologo armeno Ararat Mirzoyan.

SUL PIATTO GIRA il solito disco: «I militari russi dichiarano da più di un mese ogni giorno – dice Lavrov – che qualsiasi nave con merci che aspettano di essere inviate dai porti del Mar Nero può transitare senza timore di essere attaccata». La condizione-ritornello resta quella della responsabilità di sminare le acque, che spetta secondo Mosca agli ucraini. E soprattutto la revoca delle sanzioni internazionali sui prodotti agricoli russi, che seppur in misura minore contribuiscono alla stessa stabilità globale di cui ha parlato Volodymyr Zelensky.

Non una parola sulle migliaia e migliaia di tonnellate di cereali ucraini che i russi avrebbero già rimesso in circolo, via nave da Melitopol e anche via treno dalle vaste aree dell’Ucraina meridionale controllate dalle forze di Mosca verso la Russia. Come candidamente annunciato dal capo dell’amministrazione militare-civile di Zaporizhzhia, Evgenij Balitskij, all’emittente Rossija 24.

DRAGHI HA COMUNQUE LODATO gli sforzi fatti dall’Onu e dalla Turchia dell’ormai ex «dittatore» Erdogan per sbloccare la situazione, anche se dal Cremlino il portavoce Dmitri Peskov nelle stesse ore negava l’esistenza di un qualsivoglia accordo con Ankara per il transito sicuro dei cargo nel Mar Nero. Certificando il fallimento, per ora, del tentativo di trovare una soluzione che non scontenti nessuno. Cosa difficile anche solo a dirsi, dal momento che la velleità turca di portare all’intesa russi e ucraini sulla base di un piano Onu si scontra in questo momento con il fatto che entrambe le parti trovano più conveniente accusarsi reciprocamente della tragedia umanitaria annunciata per i milioni di persone di cui sopra.

NON PER NIENTE ZELENSKY ha colto l’occasione del meeting parigino per chiedere esplicitamente l’espulsione della Russia dalla Fao. «Non ci possono essere discussioni su questo, quale sarebbe il posto della Russia nella Fao – ha detto – se provoca la fame per almeno 400 milioni di persone, o più di un miliardo?». Poi il leader ucraino è sembrato virare per un attimo dall’abituale verde militare a quello ecologista. Denunciando la guerra russa in questo caso per l’avvelenamento, se non dei pozzi, delle acque antistanti le coste ucraine. E spronando il mondo a farla finita con il gas russo per passare alle energie rinnovabili. E anche qui, sembra facile.