Si chiamava Liliana Herrera, aveva 22 anni ed era madre di due figli. Era arrivata il 4 agosto all’Ospedale regionale di Santiago del Estero con un’emorragia dovuta a un aborto clandestino. Non c’è stato niente da fare.

È lei l’ultima vittima in Argentina di una legge, risalente addirittura al 1921, che punisce l’aborto con una pena fino a quattro anni di carcere, ammettendolo solo in caso di stupro o di minaccia alla salute della madre.

Prima di lei altre due donne sono morte quest’anno nello stesso ospedale (nel 2016, 43 in tutto il Paese), mentre un’altra si trova ora ricoverata in gravi condizioni a Mendoza, proprio mentre il Senato è impegnato a votare – il risultato si conoscerà in Italia probabilmente solo all’alba di oggi – il progetto di legge, già approvato alla Camera dei deputati il 14 giugno, per la legalizzazione dell’aborto entro la quattordicesima settimana (e anche oltre in caso di stupro, di pericolo per la vita della donna e di gravi malformazioni fetali).

Non sono molte le speranze di un esito favorevole: sulla carta i contrari sono 39 e 31 i favorevoli, benché l’incontenibile marea di donne di tutte le età, ma specialmente giovani e adolescenti, che si è riversata sulla Plaza del Congreso – un’onda verde come il foulard diventato simbolo della lotta per un aborto legale, sicuro e gratuito – confidi ancora nella possibilità di una vittoria all’ultimo minuto.

La frattura tra favorevoli e contrari, decisamente profonda nella società argentina, attraversa tutti i partiti, anche se in misura assai minore il kirchnerista Frente por la Victoria dove, su 9 senatori e senatrici, solo una (Silvina García Larraburu) ha annunciato a sorpresa il suo voto contrario, mentre tra quelli della coalizione di maggioranza Cambiemos quattro voteranno a favore e sei contro.

La palma per la maggiore ipocrisia va comunque all’ex presidente Carlos Menem, che si è espresso contro il progetto di legge malgrado in passato avesse accompagnato personalmente ad abortire la sua prima moglie, Zulema Yoma, secondo quanto lei stessa raccontò nel 1999.

E c’è anche chi, come l’esponente del partito radicale Inés Olga Brizuela y Doria, è schierata attivamente contro la legalizzazione dell’aborto, mentre sua figlia è in piazza con il foulard verde.

Fino a che punto la lotta delle donne per il diritto all’aborto sia stata una corsa a ostacoli lo indicano anche le divisioni all’interno degli stessi movimenti popolari, a cominciare dalla Confederación de Trabajadores de la Economía Popular, protagonista il 7 agosto, proprio alla vigilia del voto, della grande marcia di San Cayetano per «terra, casa e lavoro» contro le politiche di Macri.

Se il peso della componente cristiana nella Ctep spiega la resistenza dell’organizzazione a schierarsi a favore del progetto di legge – estremamente aggressiva è stata la campagna contro l’interruzione di gravidanza portava avanti dalla Chiesa cattolica –, non poco sconcerto hanno prodotto le dichiarazioni del suo leader Juan Grabois, noto per la sua stretta vicinanza a papa Francesco che ha affermato di non essere «personalmente a favore della legalizzazione dell’aborto»: «Tra i militanti più attivi – ha detto – la maggioranza è a favore della depenalizzazione, ma a livello di base la divisione è ben più netta».

Le donne tuttavia non hanno arretrato di un millimetro, realizzando iniziative e manifestazioni, ininterrottamente. Scendendo in piazza silenziosamente davanti alla sede del Congresso con i costumi – cuffie bianche e mantelli rossi – della serie televisiva Il racconto dell’ancella ispirata al romanzo di Margaret Atwood (centrato sui temi della sottomissione della donna e dei mezzi impiegati per asservire il corpo femminile e le sue funzioni riproduttive).

O inondando di verde, di canti e di musica tutte le linee della metropolitana, per iniziativa dell’ormai celebre movimento Ni una menos, nato nel 2015 dalla protesta di un gruppo di giornaliste, scrittrici, attiviste e artiste argentine contro l’inarrestabile strage di donne e fin dall’inizio impegnato nella difesa di tre rivendicazioni strettamente intrecciate: «Educazione sessuale per poter decidere. Anticoncezionali per non abortire. Aborto legale per non morire».

A morire, o a rischiare la vita, sono invece in tante in Argentina, e quasi tutte povere: chi può permetterselo ha pur sempre la possibilità di rivolgersi ai medici privati per un aborto chirurgico sicuro.

Le stime ufficiali parlano di 500mila aborti ogni anno, 1.369 al giorno, 57 all’ora. E parlano di 298 adolescenti tra i 15 e i 18 anni che partoriscono quotidianamente e di otto bambine tra i 10 e i 14 che ogni giorno diventano madri.