Argentina in crisi economica e di identità in cista del secondo turno delle presidenziali, il 19 novembre, quando si sfideranno Sergio Massa, candidato peronista, attuale ministro dell’Economia, e il candidato anarco-liberista Javier Milei.

IN QUESTO DIALOGO con il manifesto, Martín Caparrós, 66 anni, scrittore e giornalista argentino, firma de El País e New York Times, autore di oltre trenta libri, fa il punto sulla situazione politica, il fenomeno Milei, il futuro del paese e i giudizi sul passato. Caparrós, che ha ricevuto numerosi premi per il suo lavoro, l’ultimo a marzo 2023, l’Ortega y Gasset alla carriera, definito dai giurati il «giornalista totale», risponde da Madrid, appena rientrato dall’ennesimo viaggio in America Latina, regione che ha magistralmente raccontato nel suo Ñamerica edito da Einaudi in Italia.

A proposito di “Sudamerican Psycho” (la copertina del manifesto dopo la vittoria di Milei alle primarie, ndr), non dico che vada rinchiuso, ma dovrebbero almeno migliorargli il dosaggio dei farmaci

Dall’estero, di Milei si dice che è il Trump argentino, il Bolsonaro porteño. «Ma è un’approssimazione – sostiene Caparrós -, dietro Bolsonaro ci sono i conservatori tradizionali, esercito, chiese, Trump è un miliardario sostenuto dal Partito repubblicano, entrambi rappresentano un pezzo di establishment. Milei non è chiaro chi lo sostenga e ha proposte più radicali, come la vendita di bambini e organi, l’eliminazione dell’educazione obbligatoria. Attraverso una medium, parla di politica con il suo cane morto. A proposito di “Sudamerican Psycho” (la copertina del manifesto dopo la vittoria di Milei alle primarie, ndr), non dico che vada rinchiuso, ma dovrebbero almeno migliorargli il dosaggio dei farmaci».

E INVECE AL PRIMO TURNO ha ottenuto il 30% e ci sono 10 milioni di persone disposte a votarlo al secondo turno. «È l’espressione più estrema del fenomeno diffuso nel mondo secondo il quale l’insoddisfazione cerca risposte a destra. E in Argentina l’insoddisfazione peggiora da decenni», osserva Caparrós. Oggi 18,5 milioni di persone, il 40% della popolazione, vive in povertà. L’idea di fondo di Milei è di «individui che cercano soluzioni nel mercato, nel comprare economico e vendere caro, cioè fregare il prossimo. Il che implica rinunciare a pensare a una società solidale, a cercare le migliori forme di convivere. E questa idea sopravviverà anche ad una sua eventuale sconfitta» spiega il giornalista di Buenos Aires.

Diciamo Argentina e ci riferiamo a un paese grande nove volte Italia, con imprese innovative e persone che vivono nelle discariche. Diciamo Argentina e ci riferiamo alla metropoli globale Buenos Aires e alle province rurali, l’Interior, un’area estesa quanto la Libia dove vivono 21 milioni di persone.

A INIZIO ANNI 2000, Caparrós ha attraversato l’Interior, alla ricerca dell’identità argentina, ci ha scritto le 700 pagine di un libro omonimo, edito da Seix Barral. Alle urne, la provincia si è divisa equamente tra Massa e Milei. «Se rifacessi quel viaggio oggi, credo che il sentimento prevalente sarebbe la sfiducia. Milei con la motosega, con la sua idea di rompere tutto, è riuscito a rappresentarla. La gran parte dei suoi votanti non sa che farà una volta al governo. E non lo sanno non solo i giovani», il suo pilastro elettorale, «ma nemmeno l’ex presidente Macri (al governo tra il 2015-2020, quando ha sottoscritto il prestito più grande della storia con il Fondo Monetario Internazionale, ndr), il quale ha dichiarato il proprio sostegno a Milei, definendo la sua azione di governo un’incognita» afferma Caparrós.

IL SALTO NEL VUOTO proposto da Milei ha convinto molti a scegliere Massa. 36,7%, 9 milioni di voti, per il ministro dell’Economia di un paese con l’inflazione superiore al 100% e la moneta in svalutazione costante. Cosa aspettarsi da un governo Massa non sa dirlo Caparrós. «Farà tutto il contrario dell’attuale presidente peronista Alberto Fernández. Massa ha cambiato idea ogni volta che era necessario, il suo obiettivo è conservare il potere per il maggior tempo possibile. È vincolato con banchieri e impresari e prende i voti dai più poveri. Conciliare gli opposti è il peronismo, Massa proverà a inventare il suo peronismo, la sua mistica, ma non so immaginare come» ammette Caparrós.

Martín Caparrós

A 16 ANNI CAPARRÓS militava nei gruppi marxisti Fuerzas Armadas Revolucionarias, lasciò il paese con l’arrivo della dittatura civico-militare, che dal 1976 al 1983 ha governato l’Argentina. «Il risultato delle nostre buone intenzioni – dice – è stato catastrofico. L’Argentina degli anni ‘70 era molto migliore di quella attuale in termini di dati economici, meccanismi sociali, qualità della vita; è frustrante la sensazione di fallimento della mia generazione. Abbiamo combattuto tanto, abbiamo perso molto più di quello che avevamo».

OGGI, SI TORNA A PARLARE di quegli anni e non più solo in termini di condanna verso la dittatura: le giustificazioni della repressione militare della candidata vicepresidente di Milei hanno trovato eco nel dibattito pubblico. «C’era consenso nella società per la condanna verso la dittatura e di solidarietà ai militanti. Il giudizio sugli anni ‘70 ha iniziato a cambiare durante i governi Kirchner (la coppia presidenziale peronista di sinistra che ha guidato il paese dal 2003 al 2015, ndr), quelle forze di governo si sono presentate in continuità con i militanti degli anni ’70, la destra ha iniziato quindi a trattare i militanti non più come vittime, ma come politicanti corrotti. Il dibattito attuale è l’ultima tappa di questo processo di riscrittura del passato» ” sostiene il giornalista.

E il futuro? «Non credo che la situazione sarà molto diversa tra dieci anni. Sono elezioni tristi perché non c’è fiducia, da tempo non c’è speranza. Il sistema politico è degradato, non ci sono partiti politici, ci sono capi locali, non ci sono programmi, ci sono lealtà individuali. Il partito più antico del paese, la Unión Cívica Radical, si è diviso sul voto al secondo turno senza nemmeno convocare una riunione. Alcuni giovani di classe alta se ne vanno, quelli che restano scelgono il “romper todo” di Milei. i candidati non parlano delle proprie proposte, parlano male di quelle degli altri. Queste sono elezioni contro», conclude il giornalista.