«Il nostro corpo è ancora un campo di battaglia». Cecilia Palmeiro regge lo striscione in apertura del corteo che, lunedì 25 novembre, Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ha attraversato le strade di Buenos Aires per terminare in Plaza de Majo. «Succede in tutta l’America Latina. In Bolivia, dopo il golpe, i militari stanno perseguitando le donne dei popoli originari. In Cile, le forze di sicurezza colpiscono chi manifesta contro il governo di Piñera. Succede da noi, in Argentina, dove aumentano i femminicidi nella totale assenza dello Stato», afferma.

INDOSSA LA MAGLIA VIOLA di Ni Una Menos in cui milita da quando, quattro anni fa, il movimento è stato fondato in reazione alla lunga strage di donne nel paese e alla morte di Chiara Páez, uccisa e sepolta dal fidanzato perché incinta. Dal 2015, la violenza è continuata. Gli ultimi dati rilasciati dall’Observatorio de Feminicidios sono implacabili.

[do action=”citazione”]In Argentina, dal primo gennaio al 31 ottobre 2019, sono state uccise 229 donne. Una ogni 32 ore. Tra loro, ci sono 44 bambine e adolescenti. A significare che ogni settimana è assassinata una ragazza che non ha ancora compiuto diciotto anni.[/do]

La maggioranza degli omicidi, quasi tre su quattro, avvengono in una coppia o sono commessi da un amante o un ex compagno in casa della vittima o del carnefice.

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SONO MORTI VIOLENTE: le donne sono state pugnalate, strangolate, picchiate, torturate, avvelenate. E sono state almeno 42 a denunciare senza ottenere un intervento delle istituzioni, che lasciano 112 figli senza una madre. «I numeri ufficiali devono essere letti al ribasso perché si fondano principalmente sui casi di cronaca riportati dai giornali. Inoltre, non prendono in considerazione l’assassinio di una donna travestita o transessuale. Le organizzazioni non governative, e le reti femministe che lavorano sul territorio, parlano di cifre più alte», dichiara Maga Gargarelo, giornalista e attivista della campagna nazionale contro la violenza sulle donne.

«LE LORO SONO TUTTE morti di Stato, che non interviene a sufficienza per aiutare chi denuncia. La legge 26.845, promulgata nel 2009 con l’obiettivo di sradicare la violenza maschile, non basta. Gli enti che dovrebbero applicarla non dispongono di fondi tali da potere intervenire in ogni provincia del paese. Non si riesce sempre a garantire un patrocinio gratuito o un rifugio per chi esce da una situazione di abusi», aggiunge. Nel 2019 l’ex presidente di centrodestra Mauricio Macri, sconfitto alle elezioni di ottobre dal peronista Alberto Fernandéz, ha tagliato il bilancio per la prevenzione della violenza abbassandolo a 11 pesos annuali per donna. L’Instituto Nacional de las Mujeres (Inam), l’organismo incaricato dell’applicazione delle legge, ha visto i suoi finanziamenti ridotti del 18 per cento rispetto al 2018.

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«La risposta dello Stato è sempre al ribasso»
, continua Gargarelo. «La violenza è sistematica, e pervasiva, e ha bisogno di una risposta altrettanto sistematica. Servono strumenti politici ma anche culturali. A iniziare dalla scuola, il luogo in cui si devono portare avanti campagne di sensibilizzazione come quella per un’educazione sessuale che sia laica, scientifica e con una prospettiva femminista», conclude.

Norma Madrid, professoressa in pensione, partecipa al corteo con la maglietta verde della campagna per l’aborto libero, sicuro e gratuito. Spiega che, nonostante la legge sia stata bocciata dal Senato lo scorso anno, il lavoro delle reti territoriali ha ottenuto il risultato di cambiare il discorso pubblico sull’interruzione volontaria di gravidanza che, in Argentina, è permessa solo in caso di stupro o se la vita della madre è in pericolo.

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«ORA SE NE DISCUTE
a scuola, in famiglia. Si parla della pillola abortiva. Prima non succedeva, rimaneva tutto chiuso in uno spazio privato», racconta. «Le donne, soprattutto le più povere, continuano a perdere la vita a causa degli aborti clandestini. È una forma di violenza impedire di scegliere se e quando essere madre. Il corteo è aperto dagli striscioni delle due campagne, quella contro la violenza e quella per la legalizzazione dell’Ivg, perché sono una sola battaglia», sottolinea.

«In strada oggi ci sono cilene, boliviane, argentine. Siamo una forma di femminismo transnazionale», osserva Wendy Tago mentre sventola la bandiera wiphala.

È originaria di La Paz e vive a Buenos Aires da undici anni, dove lavora come sarta, insieme ai suoi due figli. «Mia madre è una mujer de pollera e ne vado orgogliosa. In Bolivia, le donne come me, e come lei, subiscono una doppia discriminazione: classe e genere insieme. Sei discriminata, se sei una madre separata e senza un compagno. Subisci discriminazioni, se sei una indigena che lavora nelle campagne. Me ne sono andata perché non lo potevo sopportare», dice. «Qui mi sento felice. Sono libera».