«Avanti, avanti così, in quella direzione». In diretta online sul sito della Bbc, un uomo con la pettorina della Mezzaluna rossa palestinese indicava ieri agli autisti egiziani dove procedere. La tanto attesa apertura del valico di Rafah è avvenuta qualche minuto dopo le 9 italiane.

SONO PASSATI 20 CAMION subito, poi, pare, altri 15, organizzati dalla Mezzaluna rossa egiziana, l’Organizzazione mondiale della sanità e il Programma alimentare mondiale. Hanno percorso meno di un chilometro fino a una zona protetta – su cui gli aerei israeliani non avrebbero bombardato – e lì, il loro carico è stato trasferito su autocarri palestinesi che si sono subito diretti verso i centri di distribuzione e all’ospedale Nasser di Khan Yunis divenuto il complesso sanitario principale.

L’ospedale al Shifa, il più grande, infatti si trova nella zona più a rischio, la metà settentrionale della Striscia di Gaza da cui l’esercito israeliano ha intimato l’evacuazione. Proprio ieri l’aviazione dello Stato ebraico ha lanciato altri volantini avvertendo che gli abitanti che non andranno a sud potrebbero essere considerati parte di Hamas e, di conseguenza, bersaglio di attacchi. Sono almeno 350mila i palestinesi che restano in quella parte di territorio, per scelta e per necessità. Il loro destino, dovesse scattare nelle prossime ore l’offensiva di terra israeliana, è una delle incognite più angoscianti per gli operatori umanitari e chiunque tenga alla sorte di civili innocenti.

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Usciti i camion egiziani, il valico di Rafah ha chiuso. Si spera che oggi riapra permettendo l’ingresso ad altre decine delle centinaia di autocarri in attesa. Gli aiuti ci sono, l’aeroporto di El Arish nel Sinai è diventato il punto di raccolta della solidarietà araba e internazionale con i palestinesi. Ma a Gaza, spiegano i funzionari dell’Onu, sono necessari almeno 100 camion al giorno per coprire i bisogni più urgenti. Ciò che è transitato ieri è solo una minuscola frazione di ciò di cui hanno bisogno i circa due milioni di palestinesi, sfollati e residenti, che vivono ammassati, senza nulla e sotto i bombardamenti, dopo il Wadi Gaza, nella parte meridionale della Striscia. «La situazione a Gaza, già precaria, ha raggiunto livelli catastrofici. Spero che quanto abbiamo visto questa mattina (ieri, ndr) sia l’inizio di uno sforzo per fornire aiuti essenziali, tra cui cibo, acqua, medicine e carburante», ha auspicato Martin Griffiths, a capo dei servizi umanitari delle Nazioni unite.

SONO ENTRATE IERI anche 44.000 bottiglie di acqua potabile fornite dall’Unicef: sono sufficienti per 22.000 persone però solo per un giorno. A Gaza, da quando Israele ha interrotto le forniture i civili più poveri hanno cominciato a dissetarsi con acqua contaminata, dei pozzi agricoli, di cisterne abbandonate. «Con un milione di bambini a Gaza la fornitura di acqua è una questione di vita o di morte. I bisogni sono immediati e immensi: non solo di acqua, ma anche di cibo, carburante, medicine, beni e servizi essenziali. Se non saremo in grado di garantire forniture umanitarie costanti, ci troveremo di fronte alla minaccia reale di epidemie», ha rimarcato con allarme la direttrice generale dell’Unicef, Catherine Russell. Ed è bene ricordare che prima che i raid aerei delle ultime due settimane danneggiassero sistemi idrici e igienici cruciali, i palestinesi di Gaza sopravvivono con 3 litri di acqua al giorno per persona.

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È BENE SOTTOLINEARE anche che le prime forniture passate ieri da Rafah sono avvenute solo perché Israele, soggetto a pressioni americane e internazionali, ha allentato la morsa su Gaza decisa dopo il massiccio attacco di Hamas nel suo territorio meridionale (1400 morti) il 7 ottobre e il sequestro di oltre 200 persone, militari e civili.

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Rafah ha riaperto ma il gabinetto di guerra guidato da Benyamin Netanyahu e i comandi militari hanno vietato l’ingresso nella Striscia del carburante, vitale, tra le altre cose, per far funzionare i generatori autonomi degli ospedali e i depuratori dell’acqua. Potrebbe essere usato, dicono, da Hamas per lanciare i suoi razzi.

«In tutta Gaza manca il carburante, in particolare la benzina» dice al manifesto Jacopo Intini, il capoprogetto della ong palermitana Ciss, sfollato assieme alla popolazione del nord e del capoluogo Gaza city. «Il carburante – aggiunge – non è ritenuto prioritario tra i beni in arrivo dall’Egitto. Sarà un problema enorme nei prossimi giorni, più di adesso, perché le auto private non potranno procurare ciò di cui hanno bisogno gli sfollati che aumentano sempre di più».

AL MINISTERO DELLA DIFESA israeliano si vedono cose completamente opposte a ciò che raccontano le Nazioni unite, le agenzie umanitarie e i civili palestinesi. «Al momento, non c’è alcuna crisi umanitaria a Gaza», non c’è carenza d’acqua o di medicinali e «c’è cibo sufficiente per le prossime settimane», ha affermato il portavoce militare, generale Daniel Hagari, rispondendo alle domande del Times of Israel. Ha anche confermato che il carburante non entrerà a Gaza. «Ci sono difficoltà nel trasferire le persone nel giro di pochi giorni verso il sud di Gaza, ma la popolazione se la cava» ha aggiunto. Sempre il generale Hagari sostiene che più di 550 razzi lanciati dai movimenti Hamas e Jihad avrebbero ucciso persone innocenti a Gaza. «Stanno uccidendo i loro stessi civili», ha proclamato perentorio, solo nelle ultime 24 ore, ha affermato, «un quinto» dei lanci dEi «gruppi terroristici palestinesi» è fallito, cadendo nella stessa Striscia.

IERI IL RAPPRESENTANTE DI HAMAS in Libano, Osama Hamdan, ha fatto sapere di essere in contatto con i mediatori di Egitto e Qatar a proposito della possibile liberazione di altri civili israeliani e stranieri presi in ostaggio e portati a Gaza durante l’attacco del 7 ottobre. Ma ha aggiunto che la trattativa per il rilascio dei soldati avverrà solo quando cesseranno gli attacchi israeliani.

Mentre il generale Hagari attribuiva ai razzi la morte di parecchi civili palestinesi, Raja Sourani, storico attivista dei diritti umani a Gaza, ha visto una bomba vera, sganciata da un aereo, cadere sulla sua abitazione. È stato estratto, per sua fortuna vivo, dalle macerie.

IL MINISTERO DELLA SANITÀ a Gaza ha fatto sapere che sono 51 i medici e gli infermieri uccisi dai bombardamenti. 4.385 è il totale aggiornato dei morti di cui 1756 bambini e 967 donne. Ieri sono state sepolte in una fossa comune 43 persone non identificate. A Gaza i corpi degli uccisi li tengono anche nei frigoriferi per i gelati, negli obitori non c’è più spazio. Trasportava bare e sacche per i cadaveri uno dei venti camion entrati ieri a Gaza.