Scuole chiuse per le ragazze che vengono riaperte dalle autorità locali, per essere di nuovo chiuse dalle autorità centrali di Kabul. È successo nei giorni scorsi nella provincia di Paktia. Un territorio poco centrale, nell’area orientale al confine con il Pakistan, ma la valenza della partita in corso è cruciale: racconta dei dissidi interni al movimento dei Talebani, ora che dalla guerriglia sono passati a gestire i ministeri, e racconta anche del conflitto sociale nel Paese. Un conflitto più sotterraneo, rispetto a quello militare con i cosiddetti fronti della resistenza e con la branca locale dello Stato islamico, la Provincia del Khorasan, ma ben più importante.

PARTIAMO DALLA CRONACA: circa una settimana fa, le autorità governative della provincia di Paktia hanno annunciato la riapertura di 5 scuole superiori femminili nei distretti di Gardez e di Chamkani, dopo che i consigli tribali e le autorità locali, su pressioni della cittadinanza, avevano dato il via libera alla riapertura. Nella gran parte dell’Afghanistan, infatti, le scuole superiori femminili sono chiuse da più di un anno. Da quando i Talebani sono tornati al potere. «Nei giorni passati, alcune scuole hanno riaperto e i presidi hanno invitato le studentesse a tornare a scuola». Così ha presentato la notizia Khaliq Yar Ahmadzai, a capo del dipartimento per l’Informazione e la cultura di Paktia.

La notizia non è stata presa bene a Kabul, dove non è mai arrivata la richiesta di autorizzazione. Così, i portavoce dell’Emirato si sono affrettati a dire che ogni decisione di questo tipo deve passare da Kabul, nonostante alcune scuole superiori femminili abbiano continuato a rimanere aperte, in questo periodo, come nella provincia settentrionale di Balkh. Dalle parole, poi, l’Emirato è passato ai fatti: le scuole sono state subito chiuse.

Il 10 settembre, decine e decine di studentesse, con la divisa scolastica, hanno manifestato per le vie del capoluogo provinciale, Gardez, per chiedere la riapertura. Secondo diverse fonti, i Talebani avrebbero arrestato i genitori di alcune studentesse e fermato per ore i giornalisti che hanno dato copertura della manifestazione. A cui è seguita, due giorni fa, la dichiarazione del ministro di fatto dell’Istruzione dell’Emirato: «Nella nostra cultura, nessuno vuole mandare le proprie figlie grandi a scuola». Un’uscita che ha provocato una fortissima reazione in tutto il Paese, dove la richiesta di educazione – ed educazione di qualità – è invece molto diffusa, non solo nelle città principali.

La vicenda riflette uno dei principali limiti dei Talebani: la loro incapacità di riconoscere quanto la società afghana sia diversa da quella che, in tanti anni di guerriglia e clandestinità, addestramento di martiri e attentatori suicidi, hanno immaginato esistesse.

Ma ad emergere è anche un dissidio interno: la riapertura delle scuole è avvenuta infatti a Paktia, tradizionale “feudo” degli Haqqani. Alle spalle stragi e mattanze, all’interno della galassia dei Talebani sono tra quelli che però più spingono per la riapertura. Dietro le 5 scuole riaperte, c’è il loro tentativo di forzare la mano e mettere nei guai, di fronte alla società afghana e alla diplomazia internazionale, il gruppo dei politici del sud, di Kandahar.