Era già evidente nel 2018, ma dopo cinque anni lo è ancor di più: il Pd si ritrova disossato strategicamente e, sembrerebbe, muto di fronte allo choc del voto, salvo il preannuncio di un altro giro di segretario con annessi pretendenti.

Alla sua sinistra, da Art.1 a Up, passando per SI e Verdi, non è emersa alcuna possibilità/capacità di restituire una dimensione popolare e di massa ad un’idea radicale di sinistra: andiamo dalla sopravvivenza alla testimonianza.

La Cgil ha compiuto una scelta di attraversamento della campagna elettorale in una sostanziale neutralità che, in un tempo non lungo, renderà probabilmente questa decisiva e autonoma organizzazione del mondo del lavoro e (si può ancora dire?), della sinistra, più esposta alla cruda realtà di un governo di destra e della crisi della rappresentanza sindacale del mondo del lavoro che non è meno forte della crisi di rappresentanza politica che investe i partiti.

I 5 Stelle – a cui pure è andato un voto di protesta e di disillusione di settori espliciti di sinistra – sono aperti a più possibili evoluzioni: se sapessero assumere nella sua interezza la centralità della questione sociale e del lavoro, potrebbero aspirare a una funzione più generale ma non ci sembra essere nella loro intenzione come non lo è nella loro cultura politica.

Il voto ha confermato dunque l’anomalia italiana di un paese dove non vive una sinistra politica, popolare e critica, radicata nel mondo del lavoro, in tutte le sue sfaccettature e capace di animare una critica di massa, attiva e nutrita di una ricchezza di pratiche; un conflitto dai caratteri concreti, vitali direi, e generale, ideale e perfino ideologico, nei confronti di una società del capitalismo contemporaneo che ha rotto argini e remore per consegnarci un mondo sempre più sull’orlo di una crisi di portata storica: pace e guerra, crisi ambientale, ingiustizia sociale mai così esasperata e forte.

È lo stato delle cose del mondo e sono i livelli insopportabili di disuguaglianze che evocano una domanda di cambiamenti profondi, rotture inedite, ardite, nuove costruzioni, alternative di modelli e sistemi di sviluppo, nuove connessioni popolari, ampie spinte partecipative e conflittuali con propri pensieri e proprie pratiche.

Questo vuol dire immaginare una sinistra che di nuovo sia capace di animare un conflitto profondo nel corpo vivo della società e lì di costruire alleanze, solidarietà, sensi comuni nuovi. È di questo che stiamo parlando? È questa la ricerca che si pensa di mettere in campo? Dagli esiti per nulla scontati, difficilissimi, asperrimi.

Ma la sfida è questa per un Paese che sta andando incontro ad una spaccatura e a elementi di frantumazione tra disillusione e rabbia – i terreni propri su cui la destra pasce, sempre.
Questo Paese, la trova la sua sinistra e questa sinistra, ritrova il suo paese e i suoi mondi? Il confronto o si pone a questo livello, oppure andiamo verso l’anomala normalità di un paese senza sinistra politica e di mille esperienze e conflittualità, che pure ad essa si potrebbero ricondurre, vive nella società, che rimangono senza politica, e quindi largamente ininfluenti.

Il “dal basso” è decisivo. Ma siamo in uno di quei momenti in cui è non meno decisivo il “dall’alto”, la forzatura soggettiva, la messa in campo di iniziative che superino questo tran tran di chiacchiericcio politico inconcludente, e investano energie presenti in tutte le forze che alla sinistra si richiamano e molto oltre, fuori di esse.

Ed è qui che si parrà la virtude di tutti quelli che guardano a sinistra. Nasca, da parte di chi è cosciente, una iniziativa che punti a delineare un orizzonte nuovo, che diventi il punto di riferimento di un attivo per quanto frantumato e disperso, popolo; che ridesti passione lì dove si è ritratta; che avvii un processo di aggregazione federativa dei mondi vitali organizzati nella società.

E si dia un percorso Costituente, un’ambizione di reinsediamento nella società, di unificazione dei conflitti. E, insisto, con il manifesto a svolgere il compito di snodo formativo e informativo, voglio volutamente usare le parole del Pietro Ingrao , che sia a disposizione di un inedito processo aggregativo.

Non ditemi che è difficile. Ditemi se è giusto. Se, pur giusto, non è realizzabile, allora, come si dice a Napoli, si nu’ vulimm’ fa e scarpar’, nu’ scassamm’ o c…e semmenzell! (Se non vogliamo fare i ciabattini, i creatori di cose nuove, almeno, non rompiamo le scatole ai chiodini corti dalla ‘capocchia’ larga e piatta, e semmenzell, usati per suolare le scarpe.