Cara Elettra, quante ore passate assieme. Il nostro primo approccio è stato un poco sul chi va là – i rapporti fra femministe e maschi militanti della sinistra non è mai stato semplice. Poi le croste si sono rotte e sono stati anni di frequentazioni, di lavoro politico comune, di affetto e sempre di dialogo da cui potevamo reciprocamente imparare.
È capitato anche di fare vacanza assieme, con te che raccontavi storie tratte dalla mitologia greca che mia nipote piccola ascoltava rapita. Ti vedo mentre mi spieghi come hai vissuto quella grande manifestazione a Milano a metà degli anni settanta, che fu oggetto di violentissime cariche della polizia che costarono la vita a Giannino Zibecchi. E ti ricordo a Genova, colpita dai manganelli della polizia mentre alzavi le mani per simboleggiare la tua scelta nonviolenta. E i tuoi discorsi e il tuo impegno parlamentare, che ti ha spinto nei luoghi delle tante guerre nel mondo. Ho tra le mani il tuo libro, sul quale hai vergato parole affettuose per Andreina e per me. Leggetelo, è un pezzo di storia viva e vera della sinistra. Storia intima e pubblica. Una dichiarazione d’amore per la politica delle donne, scrive Letizia Paolozzi nella prefazione. Si intitola Il tempo del secolo. Trame di una militanza femminista. Rifletto sulle tue parole cinquant’anni dopo il ’68, sulle ragioni dei nostri fallimenti: «…ci sfuggivano le trasformazioni radicali che investivano l’anima della società, di fronte alla sordità autoreferenziale della sinistra, di quella che ha fatto sue le scelte del neoliberismo, ma anche di quella che è stata la mia e che ha continuato a parlare di alternativa riducendo poi tutte le sue promesse a un prevalente e ripetitivo gioco istituzionale». Ciao, Elettra.