«Sui lavoratori autonomi il governo Meloni ha deciso di puntare sui benestanti» afferma Anna Soru, ricercatrice economica e presidente dell’associazione dei freelance Acta, dal 2004 impegnata per l’affermazione dei diritti delle partite Iva.

Anna Soru (Acta)

Perché questa differenza?
Vuol dire che hanno un’idea di lavoro autonomo superata dai tempi, sono cioè fermi all’idea che la partita Iva sia solo un lavoratore abbiente. La stragrande maggioranza dei lavoratori autonomi non ha redditi alti. Quello medio degli iscritti alla gestione separata Inps è di 15.400 euro medi. Se consideriamo gli under 40, che non sono più così tanto giovani, parliamo di un reddito medio da 11.700 euro annui. Quello dei giornalisti freelance o di altre casse professionali non è molto diverso. Tutti oggi mettono in evidenza lo svantaggio del dipendente rispetto all’autonomo. Nessuno parla dello svantaggio del lavoro autonomo a basso reddito.

Parliamo del regime forfettario che hanno ribattezzato «Flat Tax». Nella legge di bilancio è previsto l’aumento della soglia di ricavi o compensi per le partite Iva da 65 mila a 85 mila della soglia. Cosa ne pensa?
Ci aspettavamo una manovra che intervenisse a sostegno dei più deboli. Come del resto sembra che avverrà per il lavoro dipendente per i quali il governo ha privilegiato i reddito più bassi tagliando il cuneo contributivo del 3%, uno in più per i redditi fino a 20 mila euro. Secondo noi sarebbe stato utile intervenire anche per le partite Iva a basso reddito che sono più svantaggiate rispetto ai dipendenti stessi, perché pagano più tasse a pari reddito.

Un esempio?
Consideriamo un imponibile di 20 mila euro. L’autonomo paga tremila euro di tasse e il dipendente 2.261. Dopo la manovra, quest’ultimo ne dovrebbe pagare 1.601. La differenza è di 1.400 euro. Su 20 mila non è una sciocchezza. E prima c’era già una differenza di oltre 700 euro.

E per i redditi più bassi?
Il divario è ancora più forte. Per l’effetto combinato della no tax area e l’ex bonus Renzi, un dipendente con 12 mila euro non pagava tasse. Mentre un autonomo, senza flat tax, ne pagava 1.666 euro. Si tratta di una differenza enorme che ora sarà ampliata. Con la manovra il dipendente riceverebbe la parte di contributo pensionistico versato dallo Stato che corrisponde a un po’ meno di 400 euro. Il divario aumenterebbe a circa 2 mila euro su 12 mila euro di imponibile.

Non sono noccioline, insomma.
Infatti. Qui c’è una contraddizione: sui dipendenti intervieni sui più deboli, e giustamente, ma perché non farlo anche per gli autonomi? E si prevede anche un’altra misura che non è rivolta ai più deboli.

Parla della cosiddetta «Flat Tax incrementale»?
Sì, anche se il testo della manovra va interpretato. Si può però dire che l’incremento di cui si parla dovrebbe premiare chi ha avuto una crescita dell’imponibile. Anche in questo caso il governo si rivolge a qualcuno che ha avuto un miglioramento della sua situazione e non a chi sta peggiorando in un momento di crisi. A noi colpisce questa disparità di trattamento tra lavoratori autonomi.

Qual è la situazione del lavoro autonomo non contemplato dalla manovra?
È stato molto penalizzato negli anni della pandemia. Oggi il caro bollette e l’inflazione è anche un nostro problema. Purtroppo non abbiamo strumenti di difesa dei compensi né ammortizzatori sociali degni di questo nome. Quelli esistenti sono ridicoli. Su questo il governo non ha annunciato nulla.

E per quanto riguarda le pensioni?
Nella manovra è previsto il rinnovo dell’Ape sociale per i dipendenti. L’Opzione Donna è anche per le autonome. Però se vediamo la gestione separata dell’Inps le donne sono escluse: per usufruire di questa misura bisogna avere contribuito per 35 anni allo stesso fondo. ma la gestione separata esiste dal 1996, quindi è matematicamente impossibile. E poi c’è quota 103. Tra chi è stato freelance e lavora da 42 anni, non ha potuto versare e non può riscattare gli anni di lavoro, ci sono persone che rischiano di dovere aspettare 71 anni se l’importo della pensione maturata non è pari o superiore a 2,8 volte dell’importo dell’assegno sociale. E di pensioni per i giovani non se ne sa niente. Però qui c’è anche la responsabilità dei sindacati, e non solo dei governi.

Quale sarebbe una politica più giusta sul lavoro autonomo?
Intervenire sui redditi più bassi non solo dal punto di vista fiscale ma anche sul Welfare e sui compensi. Il nostro è ancora un Welfare di serie B. E poi ci sono gli ammortizzatori sociali. Il governo Conte 2 ha fatto un’operazione di Welfarewashing come l’Iscro che è stato percepito solo 1,5% delle persone che avrebbero avuto diritto. Questo è avvenuto sui redditi del 2020, l’anno più duro della pandemia. E manca ancora un salario minimo legale e una legge sull’equo compenso.