La lotta dei kurdi al confine con la Siria non si ferma all’assalto jihadista. Si allarga, fino ad Ankara e al suo governo. A Suruc ne parlano tutti, con toni accesi: il governo turco ci ostacola, ostacola la battaglia di Kobane. Al Comune di Suruc abbiamo incontrato Ibrahim Ayhan, parlamentare Hdp (Partito democratico dei Popoli). Da 51 giorni, da quando è cominciato l’assedio dell’Isis, ha lasciato la capitale per coordinare le attività nella città di frontiera.

Cosa siete in grado di fare per sostenere i combattenti di Kobane?

La nostra principale attività come partito è di controllo: andiamo al confine ogni giorno, nei villaggi siriani più vicini, ad un chilometro da Kobane, per monitorare l’esercito turco e per verificare che nessun islamista sia in grado di attraversare il confine e unirsi allo Stato Islamico. Oltre a ciò, ci occupiamo dei rifugiati che non vivono nei campi profughi ma che si trovano ora nei villaggi alla frontiera: forniamo loro cibo e alloggio.

In molti qui lamentano l’ostruzionismo del governo turco verso chi tenta di inviare aiuti a Kobane.

Lo Stato Islamico ha l’appoggio di Ankara, è chiaro. L’obiettivo è comune: rimuovere il cantone di Kobane e l’esperimento democratico che lì è in atto da due anni. A Kobane la gente si difende da sola, è costretta a resistere da sola e nonostante ciò ha impedito che Kobane cadesse per 51 giorni. Da parte nostra cerchiamo di sostenere le Ypg (Unità di Protezione Popolare), con cui abbiamo relazioni politiche da tempo, ma è difficile: ogni volta che tentiamo di mandare aiuti, dovremmo coordinarci con il governo, ma la polizia ci blocca. Quando andiamo alla frontiera con le ambulanze per soccorrere i feriti di Kobane, l’esercito non ci fa passare e li lascia ad attendere al confine anche per 5-6 giorni. Pochi giorni fa 12 combattenti sono morti perché il governo non ha aperto il confine.
Intanto l’Isis avanza e colpisce con l’artiglieria quello stesso confine, rendendo ancora più complesso avvicinarsi. Dall’altra parte, Ankara sostiene l’Isis: abbiamo girato dei video in cui si vedono poliziotti della gendarmeria turca parlare al confine con miliziani islamisti, senza problemi di sorta. Alla fine si salutano, si stringono la mano e via, ognuno torna alle proprie postazioni. Vediamo spesso scene simili, con i cannocchiali.

Ad Ankara, in parlamento, siete in grado di fare pressioni sul governo?

No, da tempo cerchiamo di negoziare con il governo, ma la porta del dialogo è sbarrata perché considera le Ypg al livello dell’Isis, un gruppo di terroristi. È la stessa etichetta appiccicata sul Pkk. Il passaggio dei peshmerga è stato deciso solo su pressioni della coalizione.

Il governo teme un contagio dell’esperimento a Rojava?

La Turchia si oppone alla rivoluzione politica in atto nel nord della Siria. Per questo sostiene l’Isis, perché distrugga Kobane e l’esperimento in corso. Per Ankara è inaccettabile che la Siria del futuro o il sud della Turchia, il Kurdistan del nord, possa un giorno esportare il modello dei cantoni. Stiamo combattendo per la libertà, non solo la nostra. Combattiamo per la democrazia, per l’essere umano, contro il fascismo e terrorismo dell’Isis.