Quando il presidente Recep Tayyip Erdogan ha annunciato due giorni fa la concessione delle basi turche alla coalizione internazionale contro lo Stato islamico ha parlato di «alcune condizioni». Nella notte di venerdì è apparso chiaro a tutti che l’intento del leader del partito islamista moderato Akp è di usare il credito ottenuto da questa apertura in politica estera per risolvere un annoso problema di politica interna.

La vittoria elettorale del partito della sinistra kurda turca Hdp (che ha ottenuto il 13% alle elezioni del 7 giugno scorso) ha segnato un terremoto politico senza precedenti. Per molti politici turchi le radici comuni tra Hdp e partito dei lavoratori kurdi (Pkk) sono impossibili da digerire. Per questo la strategia di Erdogan in questa fase è riconoscere sì la legittimità delle urne del partito di Salahettin Demirtas (è difficile prevedere cosa accadrà ad Hdp in caso di elezioni anticipate dopo la prova di forza di Akp) ma anche decretare la fine del Pkk. In altre parole la dichiarazione di Palazzo Dolmabahçe del 28 febbraio scorso, in cui il deputato di Hdp Sirri Surreya Onder accunciava il disarmo del partito di Ocalan, è carta straccia (lo ha detto chiaramente Erdogan dopo la preghiera di fine Ramadan) e con lei il processo di pace tra Ankara e Pkk è definitivamente archiviato.
Hdp continua a criticare duramente la repressione in atto. Erdogan vuole «mettere il paese a ferro e fuoco» per assicurarsi la vittoria in caso di elezioni anticipate, si legge in una nota del partito di sinistra. «Akp vuole militarizzare la Turchia mentre dà l’impressione di condurre la battaglia contro il terrorismo», continua il comunicato.

Neppure il partito di Ocalan ha esitato a rispondere agli attacchi. Quindici operai di una centrale elettrica nella provincia di Sirnak, nella Turchia orientale, sono stati presi in ostaggio da militanti del partito. Anche a Diyarbakir un funzionario di polizia è stato rapito ieri. Tre poliziotti erano stati uccisi nel Kurdistan turco dopo l’attentato di Suruç. E il Pkk aveva rivendicato l’attacco.

Il ritorno alle armi ha delle conseguenze politiche devastanti. È vero che Akp ha dato il via libera agli arresti di alcuni islamisti di Isis in territorio turco ma dei 590 presunti terroristi in prigione da ieri ben 180 sono politici o attivisti di Hdp. Non solo, sono stati chiusi o censurati giornali e siti internet della sinistra da Ozgur Gundem a Evrensel, i portali Yuksekovahaber e Cizrepostasi, le agenzie Diha e Anf. Twitter, dopo aver bloccato per alcune ore le immagini dell’attentato di Suruç dello scorso lunedì in cui hanno perso la vita 32 giovani socialisti che portavano aiuti a Kobane, ha bloccato anche gli account dei principali leader del Pkk.

Non solo, con il pretesto delle ragioni di sicurezza, è stata vietata la manifestazione di oggi in ricordo delle vittime di Suruç, indetta dalla piattaforma della pace, che include il partito kemalista Chp con cui Erdogan ha intavolato le trattative per formare un governo di coalizione. Le contestazioni sono andate avanti in tutta la giornata di ieri nel quartiere di Gezi a Istanbul, noto per le proteste di due anni fa. Qui si è svolto ieri il funerale di Gunay Ozarslan, attivista del movimento radicale Fronte rivoluzionario della liberazione del popolo (Dhkp-c), raggiunta da 32 proiettili nella retata anti Pkk di giovedì e accusata di avere in programma un attacco suicida. Esponenti di Dhkp-c avevano preso in ostaggio e poi ucciso il giudice Mehmet Selim Kiraz nel marzo scorso, chiedendo che venissero resi noti i nomi dei poliziotti responsabili dell’uccisione del giovane Berkin Elvan, morto nelle contestazioni del 2011.

Nella seconda notte di bombardamenti sono state colpite le basi del Pkk nelle montagne del Kurdistan turco e iracheno a Qandil, Xahurke e Enze. In uno degli attacchi è stato ucciso il comandante del Pkk Servan Onder. Le otto basi del partito colpite nel Kurdistan iracheno sono state prese di mira anche dall’aviazione iraniana. Civili sono rimasti feriti a Batman, Cizre e Gever innescando le contestazioni della popolazione locale. Non è forse una coincidenza che questi attacchi siano stati decisi dalla Turchia proprio il 24 luglio, anniversario degli accordi di Losanna del 1923 che hanno diviso il Kurdistan tra Siria, Turchia, Iran e Iraq.

Controversa è la reazione ai bombardamenti del presidente del Kurdistan iracheno Massud Barzani. Secondo il premier Ahmet Davutoglu, Barzani avrebbe espresso solidarietà alla Turchia definendo legittimi gli attacchi sia contro Isis sia contro il Pkk. Per i media kurdi in Iraq invece Barzani avrebbe condannato l’attacco. Di sicuro il leader liberale, se venisse fatto a pezzi il partito di Ocalan in Iraq, potrebbe avvantaggiarsi da un ridimensionamento del Pkk che conta di una buona base elettorale nel paese. Eppure sembra che la Turchia possa violare lo spazio aereo iracheno quando vuole e questo di sicuro non giova all’indipendenza di Erbil.

In una lettera alle Nazioni unite, la Turchia ha giustificato i suoi attacchi in Siria perché il presidente siriano Bashar al-Assad non sarebbe «capace e non ha la volontà» di affrontare i gruppi terroristici. Sul fronte Isis, l’aviazione turca ha attaccato Izaz in Siria. Mentre tre moto cariche di esplosivo sono saltate in aria a Tel Abyad nella Rojava. Non ci sarebbero vittime tra i combattenti delle Unità di protezione maschile e femminile (Ypg-Ypj). In questa giornata nera, l’unica nota positiva è che i combattenti kurdi in Siria potranno per ora continuare la loro battaglia autentica per l’indipendenza.