Angeli o demoni? Da qualche tempo dalle cronache a metà tra lo scandalistico e il sociale fa capolino una figura double face, un po’ salvifica e benefattrice e un po’ malandrina e approfittatrice. È l’amministratore di sostegno (AdS). Da Gianni Vattimo a Lando Buzzanca, da Gina Lollobrigida a Paolo Calissano, fino al più circostanziato caso di Carlo Gilardi, anziano morto in una Rsa dove era stato recluso contro il suo volere e per il quale l’Italia è stata condannata della Corte europea dei diritti dell’uomo, il ruolo dell’AdS, nato esattamente vent’anni fa come figura di ausilio alle persone più fragili e incapaci di gestire da soli la propria vita, sembra rivelarsi oggi talvolta perfino come un ostacolo alla realizzazione personale del beneficiario e un rischio per le sue libertà fondamentali. Naturalmente, a raccontare questa realtà non sono solo una manciata di casi Vip, ma centinaia di denunce in procura, proteste presentate ai giudici tutelari o, semplicemente, inesorabili vite che si consumano nell’anonimato senza via di scampo.

ERA IL 9 GENNAIO 2004 quando la legge 6 venne promulgata dopo 18 anni dal progetto iniziale ideato dal giurista veneziano Paolo Cendon durante un convegno con Franco Basaglia. Era pensata a supporto di pochi utenti, i più fragili tra i fragili – interdetti, inabilitati, anziani non autosufficienti, infermi fisici o psichici, tossicodipendenti, minorenni: chiunque, come recita l’art.3, si trovi «nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi» – e venne inserita nel Libro I titolo XII del Codice Civile sotto il titolo «Delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia».

In vent’anni, invece, sono diventate centinaia di migliaia le persone che hanno beneficiato e tutt’ora beneficiano di quella legge, per i motivi più disparati: c’è chi lo chiede per sé (nel momento del bisogno o anche, come stabilito da una sentenza della Cassazione, per un possibile futuro prossimo); ci sono le richieste avanzate da parenti e congiunti, schiacciati da situazioni familiari che non sanno gestire; oppure lo impone un giudice tutelare su segnalazione degli assistenti sociali, dei Dipartimenti di salute mentale o delle forze dell’ordine. Mai e poi mai, però, l’AdS può non «tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario» come impone la stessa legge.

Gli amministrati dunque sono diventati tanti, e in crescita continua in una società sempre più parcellizzata e depauperata, priva di reti sociali, che vede aumentare costantemente la speranza di vita e quindi il numero di anziani soli, i single, l’uso di psicofarmaci e l’abuso di sostanze. Motivo per cui anche i giudici tutelari – di cui gli AdS sono, per così dire, il braccio operativo – sono diventati fondamentali e richiestissimi nell’organizzazione degli uffici giudiziari. E carenti. Tanto che, di fronte alla mancanza strutturale di personale nei tribunali, il ruolo viene sempre più spesso ricoperto da giudici non togati.

In teoria fino all’ottobre 2024, però, perché per effetto della riforma Cartabia i fascicoli per le amministrazioni di sostegno, per le inabilitazioni e le interdizioni passeranno alla giurisdizione dei «Tribunali per le persone, per i minorenni e per le famiglie» che saranno istituiti nelle 140 sezioni circondariali. Inoltre, una serie di attività e competenze verrà sottratta ai giudici onorari, con ricadute pesanti sui togati e sui tribunali già schiacciati da un numero esorbitante di cause pendenti.

Studiando i flussi nazionali delle amministrazioni di sostegno che sopravvengono ogni anno nei Tribunali e nelle Corti d’appello d’Italia, pubblicati sul portale statistico del Ministero di Giustizia, si evince che le richieste sono in aumento: nel 2014 erano 43.444 i nuovi fascicoli giunti, nel 2016 le domande erano già 5 mila in più (48.535), mentre nel 2021 (ultimo anno con i dati completi disponibili) se ne sono contate quasi 59.000. E, poiché i fascicoli per le amministrazioni di sostegno si chiudono solo quando il beneficiario non ne ha più bisogno, le pratiche pendenti che i giudici tutelari continuano a seguire si sommano arrivando a numeri a sei cifre: nel 2014 erano 183.549 e nel 2021 erano già arrivate a 313.829. È questo il numero indicativo di quanti italiani nel 2021 beneficiavano della legge sull’AdS.

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LA 6/2004 NON PREVEDE monitoraggi sull’applicazione delle norme a livello nazionale e demanda alle Regioni regolamentare gli strumenti attuativi delle linee guida in essa contenute. Ma ancora oggi almeno dieci regioni non hanno leggi d’applicazione, né un fondo regionale di solidarietà per pagare gli amministratori dei più indigenti. Esiste però un tavolo nazionale convocato presso il Ministero della Giustizia – riconvocato finalmente, solo qualche settimana fa, dal governo Meloni con presidente Alberto Rizzo, capo di gabinetto del ministro Nordio – per fare il punto sull’applicazione della legge e a tutela dei «diritti delle persone fragili». Secondo il professor Paolo Cendon, che di quel tavolo è coordinatore scientifico fin dalle prime edizioni, le persone tutelate da AdS oggi in Italia superano abbondantemente le 400 mila.

E SE LA DOMANDA è in crescita, si fa anche sempre più fatica a trovare disponibilità per un compito così delicato all’interno della cerchia familiare. Ecco dunque che l’amministrazione di sostegno si sta trasformando in una professione, un’opportunità per avvocati e commercialisti, soprattutto, che si trasformano in gestori di vite altrui, spesso in batteria e dunque a discapito della relazione con il beneficiario prescritta dalla stessa legge. Scrive il Garante Mauro Palma nella Relazione al parlamento del 2023, rilevando un forte aumento delle segnalazioni pervenute al suo collegio contro gli amministratori di sostegno: «Generalmente denunciano un forte disallineamento tra l’agire delle figure tutelari e la volontà della persona, e una incapacità di ascoltare il tutelato. Nella prassi, il giudice tutelare raramente convoca presso di sé il tutelato, e ancor meno spesso si reca presso la struttura dove è assistito per ascoltare le sue volontà. In questi casi le scelte dell’anziano o del disabile vengono filtrate dalla parola dell’amministratore di sostegno, dei familiari, spesso in disaccordo tra loro, o dei servizi territoriali. A un’attenta analisi non sfugge che anche negli anni precedenti le segnalazioni ricevute nell’ambito della tutela della persona sono state relative all’impossibilità dell’amministrato di avere contatto con i parenti per volontà dell’amministratore di sostegno, al mancato rispetto della volontà dell’assistito di tornare nella propria abitazione, al trasferimento in un’altra struttura contro la propria volontà. Non ultimo, il rifiuto da parte del giudice tutelare di revocare l’amministratore di sostegno perché non rappresentava davanti alla volontaria giurisdizione le volontà dell’assistito».

DI STORIE CHE RACCONTANO di incomprensioni o soprusi, di scarsa attenzione o veri e propri abusi ce ne sono molte. Ma forse molte di più sono le storie a “lieto fine”, quelle di persone che sono state aiutate e confortate da amministratori di sostegno seri, onesti, generosi, e di giudici tutelari che rispettano alla lettera le norme. Né angeli né demoni, dunque. Però l’attenzione ad un istituto così delicato e invasivo nella vita delle persone non è mai troppa.